C'è qualcosa di profondamente grottesco in quel che sta succedendo in Ungheria. Un Paese che si fregia di "valori tradizionali" e "morale cristiana" che, come in un teatro dell'assurdo, vieta il Pride, reprime con violenza chi semplicemente vuole esistere e amare, e contemporaneamente ha tra i suoi politici di punta un deputato europeo beccato a...
Orgie in cantina, crociate in piazza: Ungheria e la farsa dei valori
di Nicola Accordino

C'è qualcosa di profondamente grottesco in quel che sta succedendo in Ungheria. Un Paese che si fregia di "valori tradizionali" e "morale cristiana" che, come in un teatro dell'assurdo, vieta il Pride, reprime con violenza chi semplicemente vuole esistere e amare, e contemporaneamente ha tra i suoi politici di punta un deputato europeo beccato a partecipare a un'orgia gay durante il lockdown più rigido. Non è la trama di una commedia nera, è realtà. Questa ipocrisia è lo specchio di un potere che usa la morale come arma per mantenere il controllo, mentre si sporca le mani con corruzione, ricchezze accumulate illegalmente e tradimenti quotidiani di tutto ciò che predica.
L'Ungheria, come molti Paesi dell'Europa centrale e orientale, porta nel suo Dna la cicatrice di secoli di oppressione, invasioni e regimi autoritari. Qui la paura dell'"altro" è stata usata da sempre come strumento di dominio. Non stupisce, dunque, che la comunità LGBTQ+ diventi il capro espiatorio perfetto in un momento in cui l'insicurezza sociale cresce, la povertà aumenta e le disuguaglianze si fanno insanabili. È la stessa logica per cui si sono costruiti i fantasmi contro ebrei, zingari, oppositori politici, minoranze varie: colpevoli di esistere, di essere diversi, di disturbare il comodo ordine dei privilegi.
Non a caso, la narrazione ufficiale di Orban e della sua cricca è costruita su un "noi contro loro" molto vecchio, ma molto efficace. Dietro l'attacco alla comunità LGBTQ+ si nasconde la paura di perdere il controllo su un Paese dove il dissenso cresce, e dove la povertà e la precarietà toccano sempre più persone, in particolare i giovani e le donne.
Viktor Orban non è solo un politico autoritario, è un maestro dell'arte della manipolazione e della distrazione. Mentre vieta il Pride e mette al bando ogni forma di educazione inclusiva nelle scuole, sotto il tappeto si nasconde un sistema clientelare che arricchisce sé stesso e pochi eletti. Le tangenti, gli appalti gonfiati, i patrimoni personali accumulati con i soldi europei – quei fondi che dovrebbero servire a creare sviluppo e coesione – finiscono nelle tasche di una élite che non rappresenta affatto il popolo ungherese.
È paradossale e amaro che proprio quei soldi europei, pagati dalle tasse di tutti, inclusa la comunità LGBTQ+ e chiunque contribuisca con fatica, vengano usati per finanziare una politica che reprime quella stessa comunità e mina i valori democratici fondanti dell'Unione.
Un esempio lampante di questa doppia morale è il caso del deputato europeo ungherese beccato in pieno lockdown a partecipare a una festa sessuale clandestina con altri uomini. Il tipo che in aula vota contro i diritti LGBTQ+, ma nel privato infrange le stesse regole che impone agli altri. La faccia tosta è tale che sembra quasi una presa in giro per chi lotta per i diritti umani e civili.
Ma d'altronde la destra ci ha abituato a questi capovolgimenti dell'etica anzi, della non etica. Loro hanno esettica, apparire, apparenza. Forma. ma la sostanza, l'etica, non esiste.
Se l'Ungheria è riuscita a trasformarsi in una polveriera sociale e culturale, gran parte della responsabilità ricade sull'Europa e sulla sua presunta "difesa dei diritti". Le parole di condanna arrivano, certo, ma sono spesso timide, tiepide e senza seguito concreto. Il meccanismo europeo, fatto di compromessi e interessi economici, rende difficile agire con decisione. Così mentre Bruxelles si riempie la bocca di "valori comuni", di "democrazia" e "diritti umani", nei fatti lascia mano libera a governi come quello di Orban.
Il problema è strutturale: la Commissione Europea è sempre più un corpo burocratico privo di muscoli reali, mentre il Consiglio Europeo, che dovrebbe rappresentare i governi, è spesso paralizzato dalle rivalità nazionali e dalla paura di perdere consenso interno. Di fronte a una minaccia così palese, l'Europa appare come un gigante dai piedi di argilla, incapace di difendere chi subisce discriminazioni e violenze.
Quando si parla di "Ungheria fuori dall'UE" non si intende solo un'uscita formale, tipo Brexit, ma una fuga di fatto dai valori e dagli impegni che legano l'Unione. Il governo di Orban sta scavando una voragine che rischia di far saltare gli equilibri interni, trasformando l'Europa in un campo di battaglia tra democrazia e autoritarismo.
Se l'UE non alza la voce con forza, se non impone sanzioni serie e non dà sostegno concreto alla società civile e a chi resiste dentro il Paese, questa deriva potrebbe contagiare altri Stati membri, creando un effetto domino letale per la coesione e la credibilità dell'Unione stessa.
La repressione contro la comunità LGBTQ+ in Ungheria non è solo un attacco a un gruppo sociale: è un colpo alla dignità umana, un tentativo di negare il diritto di esistere e di essere riconosciuti come persone con pari diritti. Questo è il punto che molti sembrano non capire, o fanno finta di non vedere.
Il progresso, in senso vero, non può essere solo tecnologia, economia o crescita materiale. Il vero progresso è il riconoscimento dei diritti fondamentali, l'accettazione della diversità come ricchezza e non come minaccia. È il riconoscimento che l'umanità si arricchisce nel momento in cui smette di temere e iniziare a comprendere.
Come scriveva Camilleri con la sua lirica lucidità, "Chi non accetta l'altro, chi non vuole vedere la differenza, sta scavando la fossa anche per sé stesso." La lotta per i diritti LGBTQ+ è quindi una battaglia che riguarda tutti, perché in gioco c'è il modello di società che vogliamo costruire.
Ma non tutto è perduto. In Ungheria, nonostante la repressione, la società civile resiste con forza. Attivisti, artisti, giovani coraggiosi stanno portando avanti una battaglia di dignità e libertà, sfidando il regime con coraggio e creatività. Sono loro il vero cuore pulsante del Paese, la voce di una generazione che non si rassegna.
Questo Pride Month deve essere un richiamo acceso a non abbassare la guardia, a sostenere chi combatte, a ricordare che i diritti non sono regali da elemosinare, ma conquiste da difendere con coraggio e determinazione.
Quante volte l'abbiamo sentita dire? "Si nasce incendiari, si muore pompieri!". Sotto forma di battuta, come una rassegnata constatazione del tempo che passa, come se invecchiare significasse per forza diventare sordi, ciechi e muti di fronte ai sogni che un tempo ci facevano battere il cuore. Ma io una domanda ce l'ho: perché dovremmo per forza...