C'è un dettaglio che dovrebbe farci riflettere, ma che ormai passa quasi inosservato. Ogni volta che Trump alza la voce contro un paese — Iran, Cina, Messico, non importa — qualcuno corre a vedere l'andamento della borsa, il valore delle crypto, i movimenti di certi titoli legati all'energia o alla sicurezza. Non perché tema una guerra. Ma perché sa che sta per succedere qualcosa che ha a che fare con soldi. Tanti soldi.
Benvenuti in un mondo in cui la geopolitica è diventata una scommessa, e il presidente degli Stati Uniti… è il banco.
A differenza dei suoi predecessori, Donald Trump non ha mai fatto mistero di vedere la presidenza come un'estensione del suo impero personale.
Ma negli ultimi mesi, secondo un'inchiesta congiunta di Claudio Gatti e Milena Gabanelli pubblicata sul Corriere della Sera, è emerso con chiarezza un punto che molti sospettavano ma pochi avevano osato mettere nero su bianco: Trump usa la politica per arricchirsi. E lo fa in modo sistematico.
Non stiamo parlando di qualche vantaggio laterale, tipo l'ospitata a pagamento o il libro venduto con l'autografo. Stiamo parlando di una struttura complessa, in cui la Casa Bianca è diventata un asset strategico al pari di un hotel, di un casinò, o di un fondo speculativo. Ed è un asset che genera miliardi. Letteralmente.
Il 17 gennaio 2025 — mentre i media americani inseguivano ancora il dibattito sull'età di Biden o i processi penali di Trump — l'ex presidente (ma di fatto candidato eterno) ha lanciato $TRUMP, una memecoin con una capitalizzazione iniziale di 2,5 miliardi di dollari. Chiariamo subito: $TRUMP non è solo una moneta digitale con sopra stampata la faccia del tycoon. È un'operazione familiare, gestita dalla Trump Organization, con finalità dichiarate di "rafforzare il patriottismo economico americano" — che tradotto significa: arricchire chi sta dentro prima che arrivi la prossima ondata di gonzi.
Non contento, pochi giorni dopo ha fatto qualcosa di ancora più sfacciato.
Il 23 aprile ha promesso una cena privata alla Casa Bianca (ovviamente "su invito esclusivo") a chi avesse acquistato pacchetti speciali collegati al token. Nel giro di 48 ore, la moneta ha guadagnato il 60% e ha generato quasi un milione di dollari in commissioni. La presidenza, da simbolo istituzionale, è diventata un premio fedeltà. Nel frattempo, il clan Trump non è rimasto fermo a guardare. Il figlio Eric ha lanciato un progetto chiamato American Bitcoin, mentre il padre ha stretto accordi tra Trump Media e Crypto.com, la celebre piattaforma di scambio cripto.
Non si tratta solo di operazioni commerciali. Secondo l'inchiesta, Trump starebbe negoziando partecipazioni dirette in Binance.us, e starebbe lavorando con alcuni alleati politici per creare una stablecoin ancorata al dollaro ma "americana nel cuore" — con l'obiettivo implicito di sfruttare eventuali esenzioni normative per guadagni futuri.
È come se stesse costruendo una seconda Federal Reserve, ma privata. Una valuta personale, garantita dalla sua immagine e dalla sua influenza. Il suo volto è già sulle magliette, sulle bandiere, sui camion. Presto sarà anche sulla tua carta di credito.
Tutto questo sarebbe già abbastanza inquietante, se non fosse che Trump continua a non avere un blind trust. Non ha mai messo al riparo i suoi beni dal conflitto d'interesse, come fecero i Bush o Obama. Non ha mai pubblicato in modo completo i suoi redditi. E nel primo mandato, secondo i dati ufficiali, ha collezionato oltre 3.400 conflitti d'interesse documentati. Nel frattempo, governi stranieri hanno speso circa 20 milioni di dollari nelle sue strutture: hotel, campi da golf, residenze private. Non è solo lobbying. È fidelizzazione.
Mentre la stampa si distraeva con l'ennesimo comizio, Trump ha avviato 19 mega-progetti immobiliari in paesi come Oman, Vietnam, Indonesia e Filippine. Tutti alleati "strategici" degli Stati Uniti. Tutti con legislazioni flessibili. Tutti con margini di corruzione tollerabili. Cosa offre in cambio? Sostegno politico, copertura diplomatica, magari un trattato commerciale favorevole. Cosa ottiene? Terreni, licenze edilizie, sgravi fiscali, silenzio complice. In altre parole: Trump usa la geopolitica come un mediatore immobiliare.
In questo contesto, l'attacco all'Iran — o a qualsiasi altra nazione — non ha nulla a che vedere con una reale minaccia. È solo una leva speculativa. Quando Trump agita lo spettro della guerra, i mercati si muovono. E lui lo sa. Ogni dichiarazione serve a pilotare flussi di capitali, a far salire o scendere il valore delle sue partecipazioni, a spostare l'attenzione dove vuole. Il punto non è se farà la guerra. Il punto è che non gli serve nemmeno più farla. Gli basta minacciarla al momento giusto.
Ciliegina sulla torta: nel suo secondo mandato, Trump ha già sospeso leggi fondamentali in materia di antiriciclaggio, antimafia e anticorruzione. Non solo: ha eliminato diversi ispettori interni delle agenzie federali, sostituendoli con figure "fedeli" — in pratica, portavoce della sua agenda. Il risultato è che non esiste più un meccanismo indipendente di controllo. Non esiste un'autorità che possa dire: "Questo non si può fare". E quando la legge diventa facoltativa per chi comanda, il potere si trasforma in proprietà.
Dunque no, Trump non è pazzo. Non è impulsivo. Non è confuso. È lucido, calcolatore, e pienamente consapevole del fatto che la presidenza è, oggi, il miglior affare del mondo. Nel suo modello mentale, la Casa Bianca non è un luogo sacro. È una piattaforma. Da usare per generare valore. Da convertire in asset. Da monetizzare, brandizzare, tokenizzare.
E se per farlo bisogna manipolare un po' i mercati, minacciare una guerra, o umiliare qualche alleato storico, poco male. L'importante è che alla fine della giornata, il grafico vada su.