Meme, corna e giudizi veloci

24.07.2025

di Nicola Accordino

Era un concerto dei Coldplay. Quindi già di per sé una situazione emotivamente instabile: centomila luci accese, gente in preda al misticismo pop, lacrime, brividi e quella frase di Chris Martin che ti fa pensare che forse, sì, l'amore salverà il mondo. Ma poi succede. La camera del maxischermo inquadra due persone tra il pubblico. Due che non si tengono semplicemente per mano. Due che si stanno abbracciando con quella carica emotiva da fine del mondo, come se là fuori ci fosse l'apocalisse e loro due fossero l'ultima coppia rimasta sulla Terra. E bum. Diventano virali.

Peccato solo che lui si chiami Andy Byron, amministratore delegato di una grossa azienda tech chiamata Astronomer, e lei sia Kristin Cabot, la responsabile delle risorse umane della stessa azienda. Ah, sì: entrambi felicemente sposati. Ma non tra loro.

Cosa succede dopo? Il solito teatrino. Screenshot, video, meme, commenti indignati, detective da divano che scavano nei profili LinkedIn e Instagram per trovare conferme, contraddizioni, alleanze. E ovviamente gli articoli: "L'abbraccio proibito che scuote la Silicon Valley". Manco fosse lo scandalo Watergate con i braccialetti luminosi.

Ma non è la storia in sé a far notizia. È la forma. L'immediatezza. La perfetta impacchettabilità. È la notizia da fast food: veloce, unta, ipersaporita, ti fa sentire pieno per dieci minuti e poi ti lascia il vuoto. E la domanda che ci sbatte in faccia come uno schiaffo è: Perché ci interessa? Perché questa storia prende più piede delle guerre, delle ingiustizie sociali, della fame nel mondo? Perché il tradimento pubblico ci eccita più di un bombardamento su civili?

La risposta, in fondo, è tragicamente semplice: perché ci permette di giudicare.

E giudicare è una droga. Una botta di dopamina istantanea. Quando vediamo due dirigenti di successo inciampare, parte il meccanismo: "Io al loro posto non lo farei", "Vergogna", "Poveri coniugi traditi!". E mentre ci indigniamo, ci sentiamo buoni. Migliori. Puliti.

Ecco la prima verità scomoda: ci piace giudicare perché ci fa sentire superiori senza dover cambiare nulla della nostra vita. È come un lifting etico: sembri migliore senza fare davvero uno sforzo.

La seconda verità: le piattaforme social non sono piazze pubbliche. Sono supermercati dell'indignazione. Ogni indignazione è un prodotto ben posizionato a scaffale, pronto a essere consumato, condiviso, metabolizzato. E poi via il prossimo.

Andy e Kristin sono diventati un format. Non due persone con una storia personale (che non conosciamo e non ci riguarda), ma due figurine da attaccare sul nostro album della morale istantanea. Ci serve poco per giudicarli: un abbraccio, un'inquadratura, due nomi, e già ci sentiamo in diritto di stabilire la colpa, la pena, la sentenza.

In tutto questo, ci dimentichiamo una cosa fondamentale: non sappiamo un cazzo.

Non sappiamo se le loro relazioni erano già finite. Non sappiamo cosa provano. Non sappiamo se si sono amati in silenzio per anni o se è stato un momento di debolezza. Ma lo giudichiamo lo stesso, perché è più facile affrontare la scandalosa ambiguità dell'altrui vita sentimentale che il caos strutturale del nostro mondo.

E mentre ci concentriamo su Andy e Kristin, ignoriamo che quella stessa azienda per cui lavorano probabilmente sfrutta lavoratori in outsourcing, fa lobbying contro i diritti digitali, e ha una cultura aziendale da distopia tecnologica. Ma no: l'importante è che due adulti abbiano condiviso un momento d'intimità in pubblico.

E allora chiediamocelo seriamente: perché l'intimità altrui ci ossessiona più dell'ingiustizia sistemica?

Perché è tangibile. È visiva. È semplice. Una guerra è complessa. Una crisi economica richiede analisi, empatia, tempo. Un abbraccio rubato no: è lì, davanti a noi, pronto da masticare.

E allora eccoci: con un'intera umanità che si sta giocando il futuro su piani climatici, economici, geopolitici... e noi che discutiamo su chi abbia tradito chi sotto il palco dei Coldplay.

Ma c'è una terza verità. Quella più dura da ingoiare: quello che guardiamo dice chi siamo.

Non possiamo invocare l'etica e poi passare ore su TikTok a commentare le corna altrui. Non possiamo lamentarci della superficialità del mondo e poi scegliere la superficialità ogni volta che ci viene offerta in formato video verticale da 15 secondi.

E no, non è colpa nostra. O non solo nostra. È un sistema che premia lo sdegno rapido, la semplificazione, l'"hai visto che schifo?". È un sistema che ci tiene lì, impantanati nello scorrere, a farci sentire sempre un po' migliori degli altri, e un po' peggio di quello che vorremmo essere.

In tutto questo, la cosa più assurda è che l'abbraccio di Andy e Kristin era probabilmente sincero.

Non costruito, non recitato, non pensato per la telecamera. Un gesto umano, forse disperato, forse impulsivo, forse carico di cose che non sapremo mai. Ma sincero.

E noi lo abbiamo trasformato in contenuto.

Ecco, forse il problema è proprio questo: abbiamo disimparato a vedere le cose per quello che sono. Ogni gesto è filtrato, interpretato, rielaborato. Ogni volto è una narrativa. Ogni storia è una lotta per avere ragione.

E mentre discutiamo se quell'abbraccio sia stato inopportuno, sbagliato, commovente o disgustoso, non ci accorgiamo che la nostra capacità di comprendere è evaporata. Siamo rimasti con giudizi rapidi e memi pronti, ma senza profondità.

Rick DuFer direbbe che ci siamo abituati a pensare per scorciatoie. Per bias. Per proiezioni. E ha ragione. L'"abbraccio proibito" è solo l'ennesimo sintomo di una malattia ben più radicata: l'incapacità collettiva di stare nel dubbio, di resistere alla tentazione del giudizio immediato.

E allora, se proprio vogliamo imparare qualcosa da questa storia, proviamo questo:

  • Non giudicare ciò che non conosci.

  • Non condividere ciò che serve solo a far indignare.

  • Non sprecare attenzione su ciò che non cambia nulla.

E magari, la prossima volta che una camera inquadra qualcuno tra il pubblico, prova a guardarti intorno. Ché forse la vera storia interessante sei tu. Che stai guardando.


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