Siamo tutti Don Abbondio?

09.07.2025

di Nicola Accordino

C'è un punto nei Promessi Sposi in cui l'Italia si guarda allo specchio. E non è una scena gloriosa, né un momento epico. È un confronto in sordina, tra un cardinale e un prete di paese. Nessuno muore, nessuno si sposa. Ma in quella conversazione, in quella frase, in quel tono di voce, Manzoni ha infilato un'intera antropologia nazionale.

Il cardinale Borromeo ha appena scoperto che Don Abbondio, parroco del paesello e figura ormai nota al lettore come esempio di debolezza, ha rifiutato di sposare due giovani, Renzo e Lucia, minacciato da un signorotto arrogante e impunito, Don Rodrigo. Il cardinale, uomo che ha appena convertito perfino l'Innominato, lo richiama con fermezza: perché non hai parlato? Perché non hai denunciato? Perché non hai fatto il tuo dovere?

Ed è lì che Don Abbondio tira fuori la sua perla, la frase che oggi potrebbe stare benissimo sotto qualsiasi post di denuncia sociale, corruzione o malaffare: «Avrei voluto vedere voi!»

Non è solo una risposta. È un grido passivo-aggressivo, una strategia. Una filosofia. Anzi, a voler essere precisi: è una scusa elevata a sistema.

Quando Don Abbondio dice "avrei voluto vedere voi", sta in realtà compiendo un'operazione raffinata: sposta il giudizio su chi lo giudica. Non si assume la responsabilità, non dice "ho sbagliato". Dice, invece: non potete capire, voi non c'eravate, voi non sapete cosa significa avere paura.

Tradotto in termini moderni, è il cuore pulsante del relativismo morale difensivo. Quello che dice:
– "Eh, facile parlare col senno di poi."
– "Certo, voi fate i puri, ma se foste stati al mio posto…"
– "Lo fanno tutti. Io sono solo uno dei tanti."

E infatti, oggi, quella stessa logica infesta ogni angolo della vita pubblica e privata italiana.
L'evasore fiscale che giura di non avere alternative. Il dipendente pubblico che si assenta "perché lo fanno tutti". Il politico corrotto che si difende con il classico "così fan tutti, io sono solo il capro espiatorio".

Il genio di Manzoni sta nel fatto che Don Abbondio non è cattivo. È umano. Troppo umano.
Non è il tiranno. Non è l'Innominato. Non è Don Rodrigo. È quello che "vorrebbe solo stare tranquillo".
È l'uomo che non fa il male, ma lascia che il male si faccia. E quando gli si chiede conto, risponde con aria offesa: non mi potete chiedere il martirio.

Dice, testualmente: "Vostra Signoria Illustrissima è un uomo di polso, un uomo coraggioso, un santo, un uomo che può fare il bene e lo fa. Ma io, io sono una povera figura: io sono fatto così. La paura è naturale a tutti; e io, con quella mia, ci ho campato fin qui."

È la confessione dell'adattamento. Della sopravvivenza elevata a ideologia. Don Abbondio non chiede perdono. Chiede comprensione. Chiede che il suo piccolo mondo codardo venga rispettato come scelta legittima. E in fondo, chiede anche di essere lasciato in pace. Nel mondo di Don Abbondio, la paura diventa argomento. E anche oggi, in Italia, accade spesso la stessa cosa. Si chiama giustificazione sistemica. È l'arte di costruire un alibi sociale per ogni azione individuale.

Qualche esempio?

– Il negoziante che non fa lo scontrino: «Con quello che mi chiedono di tasse, se non faccio un po' di nero chiudo domani.»
– Il genitore che "fa la telefonata" per il figlio: «Io non sono mica scemo. Gli altri lo fanno, se non lo faccio io resta fregato.»
– Il cittadino che parcheggia in doppia fila: «Solo due minuti. E poi guarda gli altri, guarda come parcheggiano…»
– Il parlamentare che si intasca il doppio stipendio: «Io faccio solo quello che la legge permette.»

È la forma più radicata di impunità psicologica. Non si fonda sull'arroganza. Si fonda sul bisogno di sentirsi in pace con sé stessi. Ed è per questo che è così pericolosa: non si corregge con la legge, ma con la cultura.

A ben vedere, la frase di Don Abbondio è il contrario esatto della responsabilità. Il cardinale gli chiede perché non ha parlato. Don Abbondio non risponde «Per paura», ma «Al vostro posto, avreste fatto lo stesso».

Questa logica si riflette ogni giorno, ovunque. Nel lavoratore che accetta condizioni disumane perché "almeno ho un lavoro". Nel professionista che truffa perché "tanto mi fregano comunque". Nel cittadino che tace perché "se parlo, mi metto nei guai".

È un paese che ha fatto dell'adattamento la sua virtù. Che spesso confonde la furbizia con l'intelligenza. Che celebra chi "se la cava", chi "naviga a vista", chi "si fa i fatti suoi". Ma il risultato è un'etica civica asfittica, senza ossigeno, senza tensione morale. Un paese dove fare il proprio dovere è considerato una forma di ingenuità.

Il paradosso: Borromeo non lo umilia. Ma lo smaschera. Il cardinale non grida. Non lo caccia. Ma lo guarda. E nel suo sguardo, Manzoni lascia tutto il peso di un giudizio etico silenzioso ma implacabile. Borromeo ha appena convertito un uomo che ha ucciso, sequestrato, terrorizzato mezza Lombardia. Ma con Don Abbondio… si arrende. Non perché lo giustifichi. Ma perché capisce che la viltà difesa con orgoglio è impermeabile a qualsiasi redenzione. Manzoni, da buon moralista disilluso, sa che l'errore peggiore non è avere paura. È rifiutarsi di ammetterla. È costruirci sopra un'intera filosofia. Ecco perché Don Abbondio resta, alla fine, un personaggio minore, marginale, ma tragicamente rappresentativo. Non cambia. Non evolve. E proprio per questo… è il più realistico di tutti.

Resta solo un'ultima domanda (amara): siamo ancora un paese di Don Abbondio? La risposta non è scontata. Ma guardiamoci intorno. Cultura dell'alibi. Rimozione del conflitto. Risentimento verso chi si espone. E quel tono stizzito, tipicamente italiano, con cui si dice: "Voi parlate bene, ma al vostro posto… io avrei voluto vedere voi." Siamo ancora lì. Fermi. In equilibrio tra il disincanto e l'autoassoluzione.

E forse è proprio per questo che i Promessi Sposi andrebbero riletti. Non perché "parlano della peste", né per le lunghe digressioni storiche. Ma perché, in controluce, raccontano il carattere di un popolo: la sua capacità di adattarsi e il suo terrore di ammettere che a volte, basterebbe un po' di coraggio.


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