Immaginate un Natale che non sa di cannella. Un Natale che non profuma di pandoro, né di pubblicità col vecchio con la barba che saluta dal camion rosso come se fosse il Messia del marketing. Un Natale che, appena lo annusi, senti che sta mentendo. E allora capisci che non è magia: è propaganda zuccherata.
Perché diciamocelo: il Natale che celebriamo noi è un gigantesco cosplay della felicità. Cartapesta, glitter, e la raccomandazione implicita: "Su, sorridi. È Natale. Almeno fingi bene."
Peccato che mentre noi facciamo le prove generali della gioia, il mondo va a fuoco. A poche ore d'aereo da qui c'è gente che il Natale non lo vedrà proprio. Non perché non ha l'albero: perché non ha più il tetto. Passano la notte sotto le bombe, il giorno a tirare fuori pezzi di vita da sotto le macerie. E noi qui, paladini della pace interiore, a litigare sui canditi come se fossero referendum popolari.
Gaza, Ucraina, Nagorno‑Karabakh, le periferie sventrate della Siria, i campi profughi d'Africa… Lì il 25 dicembre non è un giorno di festa: è un numero scritto col sangue, non col calendario.
E noi? Noi ci offendiamo se qualcuno ci rovina "l'atmosfera". L'atmosfera. Come se il mondo intero dovesse tacere per non disturbare la nostra playlist di Michael Bublé. Questo è il punto: il nostro Natale è un anestetico legale. Una pausa pranzo dell'anima. Un giorno in cui comprarsi l'assoluzione a rate: fai un regalo, fai una donazione simbolica, posti una frase profonda (copiata, pure), e tac — ti senti Gandhi con Amazon Prime. "Natale siamo tutti più buoni." Detta così sembra la minaccia passivo‑aggressiva di uno psicopatico che ti sorride mentre nasconde il coltello.
E allora, ragazzi, capite una cosa: essere umani non è automatico. Non è un optional che accendi a Natale e spegni il 26 dicembre. Essere umani è faticoso, sporco, doloroso. È mettersi in gioco senza sapere se qualcuno apprezzerà, se qualcuno ti restituirà un sorriso, se qualcuno ti farà sentire meno solo. È guardare il mondo e dire: "ok, ci sono tragedie ovunque, ma io posso fare qualcosa, anche piccolo, anche insignificante, ma posso".
E qui sul canale facciamo esattamente questo: non è consolazione. Non è zucchero filato. Non è "oh guardate quanto siamo buoni". È dire in faccia le cose, anche se bruciano, anche se vi fanno incazzare, anche se qualcuno di voi scuote la testa pensando "ma questo sta esagerando". Perché sì, sto esagerando apposta. Perché a volte esagerare serve a svegliare, a mettere il dito nella ferita, a farvi sentire quel brivido di coscienza che altrimenti ignorate.
E non voglio qui parlare di moralismo, perché non è quello. Non voglio farvi sentire in colpa. Voglio farvi sentire vivi. Voglio farvi sentire che c'è un mondo là fuori che urla mentre noi ci mettiamo a scegliere il pandoro con o senza canditi, che c'è gente che non ha neanche il lusso di pensare al 25 dicembre perché deve sopravvivere. E allora, di nuovo, vi chiedo: quanto siamo davvero umani, quanto siamo davvero presenti, quanto siamo disposti a rischiare il nostro cuore per fare un minimo di bene senza aspettarci applausi o like?
Perché è facile indignarsi per Gaza se ci va bene indignarsi, facile indignarsi per l'Ucraina se ci fa comodo indignarsi. Ma provate a indignarvi quando non conviene, provate a fare del bene dove nessuno guarda, provate a scegliere la gentilezza quando tutto dentro vi dice "mica è il tuo problema". Provate, almeno una volta, a mettervi davanti a voi stessi e a dirvi: "io posso fare qualcosa, anche se piccolo, anche se non cambia il mondo, ma cambia qualcosa".
E questo è ciò che il Natale vero dovrebbe essere. Non luci, non regali, non pubblicità di Coca-Cola o sorrisi di facciata. Il Natale vero è fare la scelta difficile. È alzarsi e dire: "oggi io guardo chi è invisibile, oggi io faccio il bene che posso, oggi io non fingo che vada tutto bene".
E sì, vi dico la verità: non ce la faccio sempre. Non sempre riesco a essere coerente, non sempre riesco a scegliere la parte giusta, non sempre riesco a non arrabbiarmi, non sempre riesco a non essere ipocrita. Ma ci provo, ogni giorno. E questo canale serve anche a me per non scordarmelo, per non anestetizzarmi, per ricordarmi che il mondo non aspetta che ci svegliamo dal torpore natalizio per cambiare.
E allora sì, nel 2026 ci saranno cambiamenti, ma non voglio parlare di nomi o date. Voglio parlare di scelte, voglio parlare di coraggio. Di prendere posizione, di farsi vedere per quello che si è, di accettare la propria fragilità e mettersi comunque in gioco. Perché se aspettiamo di essere perfetti, se aspettiamo che tutto sia comodo e ordinato, non succederà mai nulla.
Questo Natale, vi sfido: fate qualcosa di vero. Anche piccolo. Anche fastidioso. Anche scomodo. Fate qualcosa che vi faccia sentire vivi, perché la vita vera non è scrollare, non è applaudire comodi davanti a uno schermo, non è indignarsi selettivamente. La vita vera è farsi vedere, farsi sentire, rischiare, sbagliare, riflettere, provare.
E se riuscite a fare questo, anche solo un attimo, allora forse capirete cosa significa Natale. Non il Natale di carta pesta, non quello della pubblicità o dei regali, ma quello che resta dentro, quello che vi scuote, quello che vi fa arrabbiare, quello che vi fa piangere e ridere e poi vi lascia con un brivido che dice: "ok, forse oggi ho fatto qualcosa di vero".
Questo è il mio augurio. Che il vostro Natale sia così: scomodo, vero, umano, crudele e meraviglioso allo stesso tempo. Che vi faccia incazzare, pensare, ridere, soffrire. Che vi costringa a guardare il mondo per quello che è, e voi stessi per quello che potete essere. E che non smettiate mai di farlo, neanche dopo il 25 dicembre.