Nota dell'autore Questo testo non è una critica a Gemma Galgani, e nemmeno a chi guarda Uomini
e Donne. È un tentativo di guardare sotto la superficie, di capire cosa
succede quando la fragilità umana viene trasformata in intrattenimento. Parlo
da spettatore, da ex complice, da persona che si è lasciata affascinare e
disgustare. E che oggi sente il bisogno di nominare ciò che ha visto.
Sessant'anni, occhi lucidi, voce rotta: "Io
ci credo ancora nell'amore". Il pubblico applaude. La regia zooma.
L'opinionista la massacra. Lei piange. E tu, da casa, non sai se provare
tenerezza, imbarazzo o fastidio.
Benvenuti in prima serata: questa non è finzione.
O forse sì. Ma le lacrime sono vere.
Uomini e Donne – Trono Over nasce da un'intuizione che, sulla carta, era quasi rivoluzionaria:
raccontare l'amore in età avanzata. In un Paese che infantilizza il sesso e
nega il desiderio dopo i 50, dare visibilità a persone di 60, 70, 80 anni che
cercano compagnia, tenerezza, attrazione fisica era un gesto politico.
All'inizio c'era questo: la legittimità della
vulnerabilità. Un'anzianità che non fosse solo nonna con i ferri da maglia, ma
donna che si mette in gioco. Uomo che ha ancora voglia. Anima che si offre.
Poi è arrivato il bisogno di ascolti. E da quel
momento, si è rotto tutto. Il sentimento è diventato show. Il bisogno,
spettacolo. Il dolore, contenuto.
Gemma è stata una trovata geniale. Ma non per
merito suo. Per merito degli autori.
Una donna sola, sensibile, di teatro. Colta, ma
non snob. Emotiva, ma non isterica. Talmente autentica da risultare naïf. Una
che crede ancora nelle favole, a 70 anni. Che piange ogni volta come se fosse
la prima. Che ogni stagione si innamora di un nuovo principe.
In un mondo di cinici, Gemma è l'agnello
sacrificale. Non si difende. Non recita. Non capisce. E questo la rende
perfetta per il ruolo di clown tragico.
La sua storia con Giorgio Manetti è stata una
soap perfetta: lei devota, lui distante. Lei sincera, lui vanesio. Lei
spezzata, lui fuggitivo. Era tutto troppo bello per non essere sfruttato.
E così è andata: da quel momento, Gemma è
diventata un personaggio. Ma lei non se n'è accorta. E questa è la parte più
crudele.
Ogni carnevale ha bisogno del suo buffone. Ma in Uomini
e Donne, Tina Cipollari è molto di più: è il braccio armato
dell'umiliazione.
La sua figura serve una funzione precisa nel
meccanismo: dare voce a quella parte del pubblico che prova fastidio per la
vulnerabilità. Deridere, sminuire, insultare Gemma non è solo un gioco di
ruolo. È la teatralizzazione di un'aggressione emotiva costante.
Tina è lì per ricordare a Gemma – e a tutte le
Gemma – che l'amore alla tua età fa ridere. Che se ti esponi, meriti lo
scherno. Che se sei ingenua, sei stupida. E il pubblico applaude, ride, si
rilassa. Perché se ridi di Gemma, per un attimo non sei tu quella fragile.
Il problema non è Tina, che probabilmente fa il
suo lavoro. Il problema è che quel lavoro consiste nel picchiare a parole
qualcuno che non sa difendersi.
Maria non giudica. Maria ascolta. Maria dà
spazio. Maria osserva in silenzio mentre accade tutto. È il suo stile. La sua
forza. E anche il suo alibi.
Nel suo modo glaciale di condurre, c'è qualcosa
di chirurgico: un controllo totale, una distanza emotiva assoluta. Maria è la
madre assente che ti guarda cadere senza muovere un dito. Ma non è assente: è
ovunque. È nei montaggi, nelle pause, nei silenzi. Decide chi parlare e quando.
Chi far passare da vittima e chi da carnefice.
Non alza mai la voce. Ma è lei che muove i fili.
E quando tutto si fa troppo pesante, tira fuori
una frase rassicurante, una carezza ambigua, una pseudo-neutralità che assolve
tutti. Lei per prima.
Noi lo sappiamo che è tutto costruito. Ma
fingiamo che sia autentico. O viceversa: lo trattiamo come fiction, ma ci
indigniamo come fosse vero.
Il pubblico di Uomini e Donne è un'entità
schizofrenica: ride, piange, offende, consola. Commenta sui social. Prende
posizione. Sceglie da che parte stare. Ma sempre, comunque, guarda.
E senza spettatori, il circo non esisterebbe.
In fondo, è pornografia: non dei corpi, ma dei
sentimenti. Non si mostrano genitali, ma cuori nudi, ferite esposte,
disperazioni rese visibili. Si consuma l'intimità emotiva come se fosse carne.
E ci si eccita davanti all'umiliazione altrui.
Perché lo guardiamo? Cosa ci spinge a tornare,
puntata dopo puntata, a uno spettacolo così ripetitivo, così scopertamente
manipolatorio?
Forse una forma di catarsi: guardare la
sofferenza altrui per esorcizzare la nostra. Forse un riflesso consolatorio: se
Gemma a 70 anni viene derisa per cercare amore, allora è giusto che io rinunci.
O forse è un rito di conferma sociale: vedere chi sbaglia e viene punito ci
rassicura sull'ordine delle cose.
Chi guarda cerca un'emozione facile, una scarica
di dopamina, ma anche il piacere perverso di vedere qualcuno "più messo
peggio di noi". È una forma di voyeurismo emotivo: si entra nell'intimità
di sconosciuti senza dover pagare il prezzo dell'empatia.
E chi va a corteggiare Gemma? In molti casi, la
risposta è semplice: visibilità. Non l'amore, ma lo schermo. Non la
connessione, ma l'esposizione. Il narcisismo trova nel format una cassa di
risonanza perfetta: tu vai lì, racconti te stesso, ti mostri, ti indigni,
piangi, e sei riconosciuto. Per qualche giorno, sei qualcuno.
In questo gioco perverso, voyeurismo e narcisismo
sono due facce della stessa medaglia. Chi guarda si nutre dell'altro. Chi
partecipa si nutre di sé.
E tutti fingiamo che sia una ricerca d'amore.
Alcuni partecipanti del programma mostrano
segnali chiari di disagio psicologico. Dipendenze affettive, tratti
narcisistici, scarsa capacità di mentalizzazione. Gente che probabilmente,
fuori dallo studio, avrebbe bisogno di terapia. Ma dentro lo studio, diventa
materiale di intrattenimento.
Perché funziona. Fa share. Fa parlare.
Gemma è l'esempio più eclatante, ma non è
l'unica. Il programma non aiuta queste persone: le esaspera. Le spreme. Le
sfrutta. E poi, se crollano, semplicemente le sostituisce.
E se domani succedesse qualcosa di brutto? Se una
di queste persone crollasse davvero? Se la fragilità che oggi ci fa sorridere
diventasse tragedia?
Ci direbbero che non è colpa loro. Che nessuno
poteva prevederlo. Che è una questione privata. Ma sarebbe una menzogna.
La verità è che questo sistema è progettato per
logorarti. Per umiliarti. Per portarti al limite. E per farlo davanti a un
pubblico che applaude mentre cadi.
Gemma continuerà a cercare l'amore in prima
serata. Con vestiti nuovi, sorrisi speranzosi, e il solito finale amaro.
Tina continuerà a umiliarla con una battuta
preparata. Maria continuerà a guardare in silenzio.
Noi continueremo a guardare.
E a chiamarlo intrattenimento, anche se
assomiglia più a un funerale. Con la sigla allegra in sottofondo. O forse, con
l'orgasmo emotivo di chi guarda soffrire qualcun altro e lo chiama
romanticismo.