L'inventrice dimenticata
Era nera. Era donna. E osò inventare qualcosa che avrebbe reso la vita più facile a milioni di persone.
di Nicola Accordino
Sapete cos'è il vero problema, oggi? Che se dici una cosa che esce dal pensiero dominante, subito ti danno del fascista. Non puoi avere un'opinione diversa, non puoi criticare l'immigrazione, non puoi dire che certe battaglie woke sono eccessive, che ti saltano alla gola. Ti etichettano, ti censurano, ti buttano fuori dal dibattito. Ma non erano loro quelli della libertà di espressione? Dell'inclusività, del rispetto delle idee? Alla fine, quelli che si dicono antifascisti si comportano da fascisti. Il fascismo rosso: ecco cos'è.
Fermiamoci un attimo.
Questo discorso l'abbiamo sentito mille volte. Nei bar, nei gruppi WhatsApp, nei commenti sotto un video. E forse, in certi momenti, l'abbiamo pure pensato. Ma cosa c''è dietro a questa espressione? "Fascismo rosso". Ha senso? È solo una provocazione? O nasconde qualcos'altro?
Dietro l'accusa di "fascismo rosso" c''è spesso un sentimento sincero: la frustrazione di chi si sente escluso dal dibattito pubblico. Molti hanno l'impressione che esista una cultura dominante che detta cosa si può dire, come lo si può dire, e cosa invece va punito socialmente.
Questo produce una reazione classica: se mi zittisci, allora sei tu l'autoritario. Se non mi ascolti, allora sei tu il fascista. Ecco che il disagio personale diventa inversione retorica. Ma non è una posizione argomentata: è una reazione. Una difesa. L'identità ferita si trasforma in orgoglio dell'esclusione. "Io sono fuori dal sistema, quindi sono nel giusto".
Parlare di "fascismo rosso" è un'operazione di mimetismo semantico. Si prende una parola storicamente precisa — fascismo — e la si svuota di contenuto, trasformandola in sinonimo di "intolleranza" o "potere moralista". Così facendo si creano simmetrie fittizie: "Ieri il manganello nero, oggi il politicamente corretto."
Ma è una bugia. Il fascismo storico ha significato carcere, esilio, censura, guerra, leggi razziali, omicidi politici. Confondere tutto questo con una polemica su Twitter è come dire che uno schiaffo e una fucilata sono la stessa cosa perché fanno male entrambi.
Questa equiparazione è pericolosa perché banalizza il male. Lo relativizza. E nel farlo, legittima chi oggi si richiama davvero, senza vergogna, a forme di autoritarismo. Se tutto è fascismo, allora niente lo è più.
C'è un altro motivo dietro la diffusione di espressioni come "fascismo rosso": la difficoltà di accettare l'asimmetria etica della storia. Il fascismo, il nazismo, hanno lasciato macerie e orrori innegabili. Mentre la sinistra, pur con le sue ombre, ha anche portato avanti battaglie per i diritti, il lavoro, la giustizia sociale.
Questo squilibrio è difficile da digerire per chi vorrebbe vedere tutti i mali allo stesso livello. Così si tira fuori il Gulag ogni volta che si nomina il 25 aprile. Si equiparano i crimini di Stalin con quelli di Hitler, spesso per attaccare chi oggi lotta per i diritti civili, come se fosse la stessa cosa.
Ma la storia non è un bilancino da bar. Non si pareggiano i conti con gli slogan. E chi oggi difende la libertà, anche se a volte in modo maldestro, non è il nuovo fascismo. Dire il contrario è un modo per confondere le acque. Per proteggere, sotto una maschera, chi davvero sogna un ritorno all'ordine, alla gerarchia, alla repressione.
Chi parla di "fascismo rosso" crede di fare una critica intelligente. In realtà sta solo usando un trucco: si mette allo stesso livello di chi combatte il fascismo, per invalidarne la legittimità. Ma questo non è confronto. È sabotaggio del senso.
Se tutto diventa fascismo, allora il fascismo non esiste più. Se ogni censura su un social è dittatura, allora non capiamo più cosa sia davvero una dittatura. Così si costruisce un mondo in cui la storia non serve più a niente, e la realtà diventa solo una guerra di opinioni.
Ma il fascismo è esistito. Ha un nome, dei volti, delle vittime. Usarlo come insulto generico, come specchio deformante, non è solo stupido. È pericoloso. E chi lo fa, a volte senza nemmeno rendersene conto, sta giocando con il fuoco del revisionismo. Un fuoco che non si spegne mai da solo.
Era nera. Era donna. E osò inventare qualcosa che avrebbe reso la vita più facile a milioni di persone.
Immaginate un uomo che ha visto l'universo. Non per modo di dire: ha scritto le equazioni che spiegano il tempo, la materia, lo spazio. Eppure, nel 1932, quello stesso uomo prende carta e penna per chiedere aiuto. Non a un collega fisico, ma a uno psicanalista.
Albert Einstein scrive a Sigmund Freud.