Riempire le crepe: fragilità, trasformazione e la forza di fermarsi

31.07.2025

di Nicola Accordino

"Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo". Questo frammento di Eraclito mi è arrivato come un fulmine a ciel sereno mentre ascoltavo un video di Rick Dufer. È un'immagine semplice e definitiva, che ci spinge a comprendere una cosa: tutto passa, e noi non restiamo mai gli stessi.

Eppure per anni ci hanno raccontato il contrario. Ci hanno venduto l'idea che dobbiamo resistere, adattarci, sopportare. La Resilienza è diventata una parola-feticcio, un mantra contemporaneo. Ma se tutto cambia, se anche il nostro io cambia continuamente, che senso ha rimanere rigidi, resilienti, come se potessimo sopravvivere indenni al mutamento? Una cosa che resiste troppo a lungo alla fine si spezza. Il vetro più duro va in frantumi al primo urto. Quello che sopravvive davvero non è ciò che resiste, ma ciò che si trasforma.

Quando mio padre è morto all'improvviso, mi si è spaccato il mondo sotto i piedi. Il lutto non è stato un evento: è stato un terremoto. E dopo pochi mesi, come se non bastasse, è arrivato il lockdown. Mi sono sentito sommerso. E l'unico modo che ho trovato per restare in piedi è stato fare. Lavorare, creare, fondare, riempire ogni giorno. Ho tirato su il canale di "Stella & Aratro" una associazione che avevo fondato con una mia carissima amica. Mi ci sono tuffato cuore e anima, dando tanto di me stesso. Ma quella furia creativa, quell'urgenza di trasformare il dolore in qualcosa di vivo... mi ha travolto. Ho perso amicizie a cui tenevo. Ho invaso spazi che non avevo il coraggio di ascoltare. E col tempo ho capito che non stavo trasformando niente: stavo solo scappando.

Poi è arrivato Mortebianca, che in un suo video ha parlato di Kintsugi, una pratica giapponese davvero affascinante. Quando un oggetto si rompe, non lo si butta. Le crepe vengono riempite con una resina dorata, che ne evidenzia le fratture. Il vaso, ora ricomposto, non torna "com'era prima". Diventa qualcosa di più. Più prezioso. Più unico. Le sue cicatrici diventano bellezza. Nel Kintsugi c'è una lezione potente: non solo si accetta la frattura, ma la si valorizza. Non si cerca di nasconderla. E non si cerca di tornare a come si era prima.

Nassim Taleb nel suo libro "Antifragile" spiefa come la nostra societá dovrebbe andare oltre il concetto di fragile o debole e diventare antifragile: l'incontro perfetto tra Eraclito e la filosofia giapponese del Kitsugi, riempire le crepe rendenole i nostri punti di forza. Come la malta romana, che piú si bagna e piú si rafforza rendendo le costruzioni solide e durevoli nei secoli. O come diceva sempre mia nonna, quando la vita si faceva dura: "Quel che non strozza, ingrassa." Una frase buffa, certo, ma dentro c'è un'idea potente: non tutto il male viene per nuocere. Se sai come trasformarlo.

E io, di crepe, ne ho vissute negli ultimi anni, tantissime. Non solo viste vissute, attraversate, abitate. Crepe lasciate dall'indifferenza con cui sono stati accolti i miei contenuti. Crepe aperte dal desiderio di cambiare lavoro, vita, direzione. Crepe di amicizie perse, persone che se ne sono andate, progetti che non hanno attecchito.

Ho provato a ricucire: ho ricominciato a studiare, mi sono iscritto all'università, mi sono affezionato alle attività del Collettivo Scrittori Uniti, mi sono immerso in iniziative, incontri, discussioni. Ma alcune fratture sono ancora lì, e non ho voluto guardarle in faccia fino in fondo. Quelle legate a quello che ho cercato di costruire online: un canale YouTube, un esperimento di crowdfunding per piantare alberi con Treedom, le interviste parasociali. le rubriche, i testi, i video, la voglia di creare qualcosa che parlasse anche agli altri. Eppure, quasi nulla ha avuto davvero un riscontro.

E alla fine, dulcis in fundo, questo podcast. Uno spazio di riflessione e condivisione che mi ha fatto bene e mi ha anche ferito. Ho cominciato con una cadenza settimanale, poi bisettimanale. Ho provato formati diversi, sigle, modi musicali nuovi. Ho modificato il montaggio dei video, cambiato immagini, testato nuove strutture. Qualche video è stato rimosso da YouTube per problemi di approvazione, qualche audio è rimasto. Poi, nell'ultimo mese, ho provato un esperimento quasi ascetico: scrivere un testo al giorno per vedere se riuscivo a mantenere il ritmo.

Spoiler: non ci riesco.

Non ci riesco perché, forse, non è il modo giusto. O non è il mio tempo. O non è questo il formato che serve a ciò che ho da dire. E allora? Basta buona volontà? Basta avere qualcosa da dire? Ho capito che no. Non basta. E non basto io.

I numeri non sono tutto, lo so. Ma quando il vuoto si ripete, si allarga, si fa silenzio... è una crepa. E allora è arrivato il momento di fare come nel Kintsugi: fermarmi, guardare e crepe in faccia, e decidere se e come riempirle d'oro. Non per nasconderle. Non per far finta di niente. Ma per capire se da lì può nascere qualcosa di nuovo.

"Il tempo è il miglior filtro per distinguere il desiderio dal bisogno."

Per questo mi prendo una pausa. Ma non per riposarmi. Non per lasciar perdere. Mi fermo per ascoltare meglio. Per capire se questo bisogno di esserci, di parlare, di "avere una voce" è desiderio autentico o bisogno indotto, frutto del tempo, delle aspettative, dei social, dell'eco delle nostre stesse voci.

A settembre vorrei ricominciare. Non online o almeno, non solo online. Vorrei fare di più sul campo, qui a Monaco, tra persone vere, corpi reali, voci che si intrecciano dal vivo. Voglio costruire momenti fisici, creare legami umani, non solo connessioni digitali.

Ma il mio sogno è un altro. È quello di creare una comunità mista, reale e virtuale insieme. Un gruppo che non si limiti a seguire, ma che voglia costruire. Un laboratorio umano, un gruppo di confronto, di idee, di esperienze condivise. Qualcuno con cui guardare insieme le crepe e magari, provare a riempirle d'oro.

Se sei arrivato fin qui, e qualcosa dentro di te ha risuonato, anche solo un'eco, una vibrazione sottile, scrivimi. Se anche tu senti il bisogno di costruire, di riflettere, di creare qualcosa che abbia un senso, parliamone. Magari possiamo iniziare a lavorare insieme. Magari no. Ma parlarne è già un inizio.

Io credo di avere qualcosa da offrire, anche se non so ancora bene cosa.So che mi piace mettere in relazione: la filosofia con la psicologia, la vita quotidiana con le grandi domande, i pensieri con le emozioni. Forse non ho il talento comunicativo di altri, forse non sono bravo a "bucare lo schermo", ma so ascoltare, osservare, e tenere insieme i pezzi. E magari tu hai esattamente ciò che a me manca.

Io sono pronto a fare un passo indietro, se serve. A costruire qualcosa che non abbia un "mio nome", ma una nostra voce. Perché credo davvero che la solitudine, oggi, sia la crepa più devastante di tutte. E in un mondo così pieno di fratture, riempirle insieme è forse l'unico modo per non andare in pezzi.

Se vuoi… ci possiamo provare.

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