Immagina Shun
di Andromeda: capelli verdi, armatura rosa, una catena al polso, uno sguardo
che non ti aspetti. È un Cavaliere dello Zodiaco, sì, uno dei "maschi" per
eccellenza nel mondo degli anime anni '80. Ma Shun è dolce, sensibile, capace
di piangere senza vergogna. Un ragazzo che rompe lo stampo del macho duro. Solo
che quel pezzo di mondo, quella visione alternativa, non ci è mai stata
mostrata davvero. Ce l'hanno tagliata via, strappata con censura e doppiaggi.
Questo non è
un dettaglio banale. È la chiave per capire come siamo cresciuti in una cultura
dell'emotività repressa e della rigidità identitaria. Prendiamo Sailor Uranus e
Neptune: in Giappone erano due ragazze innamorate, una coppia queer esplicita e
delicata. In Italia? Sono diventate "cugine". Il doppiaggio ha cambiato intere
battute, trasformando un sentimento in un vincolo di parentela. Rivedere quei
dialoghi oggi fa quasi male, come se ti togliessero la dignità e la complessità
dei personaggi.
O ancora Ken
il Guerriero: in versione originale, Ken è un uomo tormentato, capace di
lacrime, dubbi, rimorsi. In Italia, la censura ha tagliato via quasi tutte le
scene emotive. È rimasto un guerriero spietato, una figura priva di umanità,
quasi un robot. La componente umana, la vulnerabilità che lo rendeva reale, è
stata censurata per non "confondere" i bambini. E così è cresciuta una
generazione di spettatori con modelli maschili piatti, unidimensionali.
Dragon Ball,
un altro caso: il corpo, la scoperta, l'ambiguità, tutto ciò che in Giappone
era naturale e giocoso, in Italia è stato rigido, moralista. Le scene che
potevano suggerire curiosità, ambiguità sessuale o educazione corporea libera
sono state modificate o tagliate. Il corpo è diventato tabù, non uno strumento
di conoscenza o espressione.
He-Man,
infine: un eroe muscoloso con doppia identità e un sottotesto queer
sottilissimo, oggi evidente a chiunque lo riveda. Ai tempi? Quell'ambiguità è
stata nascosta sotto un mare di stereotipi muscolari, cancellando un potenziale
messaggio di fluidità e complessità identitaria.
In quegli
anni, la narrativa dei cartoni e fumetti italiani ha lavorato come una macchina
che riproduceva uno schema rigido: il maschio è blu, forte, virile, sempre
pronto a combattere senza mostrare mai una lacrima. La femmina? Rosa, dolce,
fragile, da proteggere o salvare. È un binarismo di cui paghiamo ancora il
prezzo.
Le lacrime di
Shun? Togliete. La dolcezza di Uranus? Nascosta. I dubbi di Ken? Rasi al suolo.
Piangere? Da femmine. Mostrare sensibilità? Pericoloso. È questo che ci hanno
raccontato, ma soprattutto che ci hanno mostrato. Attraverso la censura, è
stato cancellato il diritto maschile alla vulnerabilità, e questo ha generato
una forma di mascolinità tossica che arriva fino a oggi.
Film e serie
come G.I. Joe o Transformers, fortemente censurati anche in
Italia, rinforzavano solo la mascolinità aggressiva e priva di emozioni.
Nessuno spazio alla fragilità, al dubbio o all'ambiguità. Nel frattempo,
programmi per ragazze come Heidi o Sailor Moon mostravano modelli
più emotivi, ma sempre relegati in uno spazio "protetto" e limitato, mai capaci
di interagire davvero con i modelli maschili in modo paritario.
Questo ha
alimentato una frattura emotiva che vede ancora oggi uomini incapaci di gestire
la rabbia o il dolore se non con aggressività, e donne spesso lasciate sole nel
lavoro di accoglienza emotiva.
Dietro la
censura non c'erano solo intenti "educativi". C'era un progetto culturale
preciso: mantenere un ordine sociale fondato su ruoli rigidi, famiglia
tradizionale e controllo delle emozioni.
La Chiesa e le
istituzioni hanno giocato un ruolo importante: cancellare ogni forma di
rappresentazione che uscisse dagli schemi eteronormativi. Non si trattava solo
di proteggere i bambini, ma di evitare che crescessero con modelli diversi, che
potessero mettere in discussione i ruoli di genere tradizionali.
Un esempio
emblematico: nel doppiaggio italiano di Sailor Moon Uranus e Neptune non
potevano mostrarsi come coppia. È un caso che dimostra come la censura fosse
uno strumento per rendere invisibili identità e affetti non conformi, e quindi
per preservare una visione del mondo che escludeva ogni ambiguità sessuale.
Questa censura
ha avuto un effetto a catena: ha tolto visibilità, ma anche la possibilità di
immaginare mondi diversi, di accettare la diversità come parte normale della
vita. Ha imposto una "normalità" che era in realtà un'imposizione, un modo per
controllare e limitare la complessità umana.
Crescere senza
modelli di vulnerabilità e diversità ha lasciato un vuoto profondo nella nostra
capacità di costruire relazioni autentiche. La mancanza di rappresentazione ha
fatto sentire "sbagliati" chi non rientrava nei canoni imposti. Chi era
fragile, diverso, o amava fuori dagli schemi, si è trovato spesso solo e
incompreso.
La difficoltà
di riconoscere e accettare l'altro nasce da qui. L'assenza di riferimenti
emotivi e identitari nella cultura popolare ha prodotto adulti che hanno
difficoltà a gestire le emozioni, che temono la diversità e che spesso cercano
di controllare o negare ciò che non capiscono.
Pensiamo alle
relazioni tossiche, ai femminicidi, alla violenza di chi non sa accettare un
rifiuto. Sono il risultato di un sistema che ha insegnato a vedere l'altro come
un "nemico" o una "minaccia", non come una persona complessa da accogliere.
La censura ha
creato una cultura della vergogna: ciò che non è mostrato o nominato diventa un
tabù, e il tabù diventa vergogna. Se ti dicono che mostrare sensibilità o amore
verso persone dello stesso sesso è sbagliato, impari a nasconderlo.
Questo porta a
un'auto-negazione che alimenta ansia, depressione, solitudine. La vergogna
spegne l'autenticità, ti impedisce di costruire un'identità solida e di
sviluppare empatia per gli altri.
Non è un caso
che molte persone LGBT abbiano vissuto o vivano tuttora situazioni di
isolamento e disagio psicologico legate proprio a questa invisibilità
culturale.
Ci hanno
lasciato un mondo appiattito, semplificato, dove la complessità viene sempre
tradita. Cartoni, film e programmi di quegli anni ci hanno offerto eroi senza
ombre, storie d'amore esclusivamente etero, corpi da nascondere o mascherare,
emozioni da reprimere.
Ci hanno
lasciato un vocabolario emotivo povero, fatto di silenzi e tabù, dove non era
possibile parlare di fragilità, diversità o amore fuori dagli schemi.
Ci hanno
lasciato una società dove la mascolinità è ancora troppo spesso sinonimo di
durezza e la diversità è guardata con sospetto o rifiuto.
Ci hanno tolto
la possibilità di crescere in un mondo autentico, in cui la complessità umana
fosse accolta e rappresentata.
Ci hanno tolto
modelli di riferimento emotivi veri, che potessero insegnarci a vivere la
vulnerabilità senza vergogna.
Ci hanno tolto
la possibilità di imparare a riconoscere e accettare la diversità, lasciandoci
con paura, pregiudizi e difficoltà nelle relazioni.
Oggi la realtà è diversa?
Oggi, quando
vediamo finalmente personaggi LGBT in film o serie TV, molti storcono il naso:
"Ormai è troppo, basta con 'sta roba woke". Ma non è "troppa" rappresentazione.
È rappresentazione che ci era stata tolta per decenni.
Non è che una
volta il mondo fosse più "normale". Era solo più censurato, più artificioso,
più falso.
Riprendere in
mano quelle storie, guardare le versioni originali di Shun, Uranus, Ken, He-Man
significa riappropriarsi di una verità che ci hanno nascosto.
Se vuoi capire
davvero cosa ci hanno tolto, guarda quelle versioni originali. Rivedi i cartoni
giapponesi senza il filtro della censura italiana. Ascolta le parole originali.
Vedi cosa è stato cancellato, cosa è stato cambiato, cosa ti è stato nascosto.
Ti sentirai
derubato. Ma forse, solo così, potrai cominciare a riprenderti ciò che è tuo.