Ci hanno detto che "rubavano i bambini".
Non è una battuta, né una forzatura. È esattamente quello che la propaganda ha insinuato per anni. A Bibbiano – questo piccolo comune in provincia di Reggio Emilia – secondo certi politici e certi giornali si sarebbe consumata una delle trame più oscure della storia repubblicana: un vero "sistema criminale", fatto di psicologi, assistenti sociali e amministratori pubblici, tutti complici, tutti parte di un piano per strappare i figli alle famiglie e affidarli ad amici e clienti, in cambio di soldi, incarichi, favori.
Una storia agghiacciante. Troppo agghiacciante per non funzionare. Perfetta per alimentare rabbia, sfiducia, fango. Perfetta per chi vive di click, consensi facili e campagne d'odio. Peccato che fosse, semplicemente, falsa.
Il 9 luglio 2025 è arrivata la sentenza del processo "Angeli e Demoni", il filone principale di quella che è passata alla cronaca come la "vicenda Bibbiano". Undici imputati assolti. Su tutta la linea. Per tutte le accuse più gravi.
Niente abusi. Nessuna violenza. Nessun "sistema Bibbiano".
Molti reati contestati sono stati ritenuti insussistenti. Alcuni sono stati riqualificati come irregolarità amministrative. In un paio di casi si è trattato di condotte non corrette sul piano deontologico, ma non penalmente rilevanti. Niente che giustificasse lo tsunami mediatico, la gogna pubblica, la devastazione politica e personale inflitta a chi è finito sotto accusa.
L'impianto accusatorio, quello che aveva alimentato la narrazione complottista e paranoide, è crollato. E con lui, tutto il castello di menzogne costruito sopra.
A questo punto, qualcuno dirà:
"Eh ma se li hanno assolti vuol dire che i giudici sono corrotti!"
"Eh ma assolto non vuol dire innocente!"
"Eh ma qualcosa avranno fatto!"
Solito repertorio. Quello che si tira fuori ogni volta che la realtà non combacia con la narrazione utile. Perché il punto non è cercare la verità. Il punto è confermare i propri pregiudizi.
Allora, mettiamola così:
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Le indagini sono durate anni.
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Sono stati analizzati centinaia di documenti, perizie, audio, chat.
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Gli imputati sono stati ascoltati, interrogati, giudicati da più gradi di giudizio.
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La procura ha avuto tutto il tempo e i mezzi per sostenere la propria tesi.
Eppure, non è emerso alcun "sistema". Nessuna rete organizzata per strappare bambini alle famiglie. Nessuna "setta di psicologi" dedita al plagio o all'affido selvaggio. Questo non significa che tutto fosse perfetto. Ma non c'era il crimine orrendo che vi hanno venduto. E questo, per chi ha infangato, urlato, accusato, è un problema enorme.
Cosa resta, ora? Resta il fango. Resta l'eco di anni di odio organizzato. Restano le vite rovinate. Restano le facce degli imputati, che hanno passato anni sotto scorta, o senza lavoro, o con la reputazione distrutta. Restano gli attacchi ai servizi sociali in tutto il Paese, delegittimati da chi voleva il titolo facile. Resta il sospetto generalizzato verso la psicologia, le istituzioni, l'intervento pubblico nei casi familiari difficili. E resta la responsabilità morale e politica di chi ha costruito e alimentato questa macchina.
Giorgia Meloni, oggi Presidente del Consiglio, allora leader di Fratelli d'Italia, urlava: "Siamo stati i primi ad arrivare a Bibbiano. Saremo gli ultimi ad andarcene!"
Con lei, Matteo Salvini, Luigi Di Maio, e mezza classe politica che vedeva in Bibbiano il colpo perfetto per delegittimare la sinistra, i tecnici, gli intellettuali, i professionisti.
Li avete visti fare i video. Li avete visti farsi i selfie davanti al cartello stradale del paese. Li avete sentiti accusare il "partito di Bibbiano", con slogan da stadio, senza uno straccio di prova. Li avete visti fare carriera anche grazie a quella menzogna.
E ora? Ora dovrebbero avere il coraggio di tornare lì. Davanti a quel cartello. E dire – anzi, urlare – una sola parola: scusa.
Questa non è solo una storia locale. Non riguarda solo Reggio Emilia. È il modello Bibbiano che va smantellato.
Quel meccanismo per cui si prende un'inchiesta complessa, ancora in corso, e la si trasforma in slogan da campagna. Quel meccanismo per cui ogni dubbio diventa certezza, ogni accusa diventa condanna, ogni sussurro diventa urlo. Quel meccanismo per cui si saccheggia il dolore degli altri – anche dei bambini – per raccattare voti e clic.
È accaduto con Bibbiano.
È accaduto con la pandemia.
Accade con l'immigrazione.
Accade con il degrado urbano, con la criminalità, con il disagio mentale.
Tutto è materiale buono per la macchina del fango, se usato nel modo giusto.
Ma quando lo si fa con una simile ferocia, sulle spalle di persone che lavorano per proteggere i fragili, allora si sta passando una linea rossa. E questa linea è stata passata.
Alla sentenza, non un commento. Nessuna dichiarazione. Solo silenzio.
Ma il silenzio, in questi casi, non è dignità. È connivenza. È viltà.
Perché se hai avuto il coraggio di accusare, devi avere il coraggio di ammettere l'errore.
Se sei salito sul palco per dire "vergogna", ora ci devi salire per dire "ci siamo sbagliati".
Scusa.
Non è poco. Non è una formalità. È il minimo. Eppure oggi sembra un Everest.
Dirla significherebbe ammettere di aver manipolato, di aver seminato odio, di aver danneggiato cittadini innocenti per convenienza politica. Ma se non si ha il coraggio di farlo, allora non si è degni del ruolo che si occupa.
Non puoi guidare un Paese se non sai chiedere scusa. Non puoi rappresentare i cittadini se non sei capace di ammettere un errore. Non puoi invocare la giustizia se sputi su di essa quando non ti conviene.