43. L’ignoranza non è una vergogna (

27.04.2020

I social stanno mettendo a nudo le debolezze, le paure e le angosce delle persone. L'emergere di nuovi e vecchi complotti, la "controinformazione", il rifiuto della scienza e del metodo scientifico segnano il limite di quello che credevamo essere un forte segno di progresso: la graduale e costante alfabetizzazione della popolazione. Per assurdo viviamo in un momento torico in cui le informazioni non sono mai state cosí condivise e a disposizione delle persone, eppure l'OSCE ha dichiarato che l'analfabetismo funzionale è in costante crescita. Un problema che va affrontato prima nelle scuole e poi nel resto della popolazione. Cosa sta succedendo? E soprattutto, è davvero colpa dei social questo fenomeno?

La soluzione non è semplice né è possibile dare una spiegazione univoca. Personalmente credo che la risposta piú calzante l´abbia data Umberto Galimberti, il quale sostiene che la responsabilità sia di un sistema di istruzione che predilige la formazione nozionistica e settoriale piuttosto che una collegiale umanistica che crei senso critico e capacità di analisi. Per quel che mi riguarda, credo che qualsiasi sia la formula che si sceglie di prediligere alla lotta all'analfabetismo funzionale, non si può prescindere dalla constatazione che le persone non solo sono ignoranti, ma soprattutto spesso pensano di non esserlo, a causa dei Bias cognitivi, che ci portano fuori strada e che, se non sappiamo riconoscerli, possono essere una gabbia difficile da cui scappare.

Una volta un amico mi disse una massima di Platone che mi è rimasta impressa: "di tutte le bestie selvagge, l'ignoranza è la più difficile da trattare" e non c'è niente di piú vero. Anche io, come tutti piú o meno, ho avuto una fase complottista. Credo che non ci sia nulla di cui vergognarsi e come ripete sempre anche Massimo Polidoro, che come segretario del CICAP di dinamiche complottiste è esperto, è normale e anche molto facile cadere in certe trappole. Ogni volta che ci sembra di trovare risposte semplici a problemi complessi, quando non riusciamo a stare al passo con i cambiamenti e le accelerazioni tecnologiche della società (resi ancora piú veloci dalle scoperte fatte negli ultimi cento anni), è proprio quello il momento in cui ci sentiamo impotenti, senza possibilità di reagire ai cambiamenti né di metabolizzarli. Le teorie complottiste sul 5G o i vaccini  sono ottimi esempi per mostrare come la commistione tra ignoranza e incapacità di seguire l'evoluzione della scienza e della tecnica portino a semplificare troppo le cose. E se a questo uniamo i Bias cognitivi che ci fanno credere di essere piú informati di quanto pensiamo e il senso di appartenenza che ci fa sentire parte di un gruppo e non foglie nel vento, ecco che il mix esplosivo è pronto.

Secondo me il pericolo piú grande sta nel non accettare di essere ignorante e di diventare, in molti casi, arroganti. Pretendere di saperne di piú della comunità scientifica, affidarsi a ciarlatani che vendono sogni e facili risposte a domande difficili, portano a errori di valutazione colossali che mettono in pericolo la vita delle persone e confondono, generano panico, frustrazione, rabbia. E ciò avviene non solo in ambito pubblico, ma anche e direi soprattutto in ambito privato. Nel nostro modo di relazionarci con gli altri, spesso i nostri Bias ci inducono ad arroccarci sulle nostre posizioni senza chiederci se siano le piú giuste e le migliori, spesso rischiando (e riuscendoci) di sabotare i nostri progetti. Porto un esempio personale molto recente: quando ho organizzato la live per festeggiare la Festa della Liberazione il 25 Aprile scorso, ho avuto dei problemi tecnici che non riuscivo a superare. E mentre mi disperavo per cercare una soluzione, continuavo ad inveire contro tutti tranne che contro il vero colpevole di quella debacle, la mia supponenza. Ero infatti talmente convinto che solo la mia soluzione potesse essere quella giusta da scartare piú volte quella che mi veniva proposta dall'altra persona con cui stavo lavorando, disposto anche a rinunciare pur di non prenderla in considerazione. Solo dopo, a mentre fredda e verificando con i miei occhi il mio errore, sono riuscito a capire che quello che mi faceva parlare non era altro che un Bias che mi portava a credere di essere piú capace e informato del mio interlocutore.

Diceva Benjamin Franklin che l'ignoranza non è una vergogna. La vera vergogna è non voler imparare. Dovremo cominciare ad accettare che non possiamo sapere tutto, che c'è chi ne sa piú di noi e arrenderci. Comprendere che molti complotti non hanno motivo di esistere e che ci sono la fuori centinaia di scienziati, tecnici, esperti che hanno dedicato la loro vita allo studio di determinate materie e che quindi possono (e sono titolati a farlo) guidarci verso una nuova evoluzione. È talmente difficile ammettere di essere in errore ed è diventato a tal punto un comportamento automatico difendersi da quelli che consideriamo attacchi personali (e lo sono perché ammettere di non sapere ci destabilizza parecchio nelle nostre convinzioni) che spesso neanche ce ne accorgiamo, specie quando siamo guidati da una forte emotività. E anche questo dovrebbe essere un aspetto da non trascurare nella comprensione di sé e della propria, personale forma di ignoranza. Ed è anche forse la chiave per comprendere come poter cercare di disinnescare le teorie complottiste che fioriscono. Se infatti riusciamo ad avere una comunicazione piú pacata, empatica e meno emotiva, forse possiamo riuscire a convincere i piú aperti a valutare altre idee e perché no, portarli a riconoscere il proprio Bias. Insomma, evitare il conflitto e favorire il confronto pacato e quanto piú possibile sereno.

Quindi, dobbiamo fidarci ciecamente degli scienziati? Non di tutti, come recentemente ha dimostrato la questione del premio Nobel Montagner, che ha dichiarato che secondo lui l'epidemia di COVID 19 scomparirà con l'arrivo dell'estate. Una dichiarazione che si scontra con le decine di studi epidemiologici che dicono come ciò non sia vero. Montagner è un Nobel, ha dedicato la sua vita allo studio, ma in questo caso forse anche lui è preda dei suoi Bias che gli fanno credere di saperne talmente tanto da non aver bisogno di portare alcuna prova scientifica delle sue affermazioni (cosa avvenuta neanche quando ha detto di poter curare l'Alzheimer con la papaia fermentata). Ancora una volta è il metodo che ci fa capire cosa sia giusto o meno, credere nella scienza e nel mondo scientifico, non affidarsi ai primi che ci dicono qualcosa ma cercare le prove e risposte verificate. E accettare in definitiva che sono piú le cose che non sappiamo di quelle che conosciamo.