L`uomo Autarchico

24.11.2018

Sabato scorso sono stato al NY Club, la mia discoteca preferita qui a Monaco. Era un po' che mancavo e ho sentito dentro di me esplodere una energia repressa, che è sfociata nel ballo al ritmo di dance e tecno. Dall'alto del mio cubo ridevo e osservavo tutti, posando lo sguardo su quella vasta umanità che danzava, giocava e flirtava ai miei piedi, sotto le luci stroboscopiche. Ho pensato che si, decisamente devo uscire più spesso, non restarmene a casa da solo, aspettando che il miracolo si realizzi e bussi alla mia porta un principe di qualsiasi colore (purché non giallo - verde) che mi porti via dalla mia solitudine e che riempia la mia vita.

Durante il tragitto verso casa, questo pensiero si è fatto di nuovo strada, tanto da bloccarmi in mezzo alla via, mentre l'autunno inoltrato e fino ad ora abbastanza clemente, ci regalava il suo primo, vero freddo. "qualcuno che mi porti via dalla mia solitudine". Un brivido mi è corso per la schiena e non era certo per l´aria frizzantina. Già una volta su questo blog abbiamo affrontato la questione della solitudine, vista come una alleata e non una nemica da abbattere. E allora perché quel pensiero, quella necessità impellente di trovare qualcuno? Voglio veramente trovare questo amore travolgente, sono pronto per sostenerlo? Voglio veramente innamorarmi di qualcuno che invada la mia vita e che mi distragga dai miei interessi? E la risposta mi ha spiazzato, ma ho sentito che era profondamente sincera: no. Assolutamente no. Non voglio dipendere da nessuno, stare dietro a qualcuno che mi porti fuori strada, che mi imponga le sue visioni e che faccia leva sui sensi di colpa per tenermi legato a sé. Sarò pure solo sì, ma io l'ho scelto, non me lo sta imponendo nessuno. E sono andato a letto rasserenato.

Durante la notte ho avuto diversi incubi, un susseguirsi di immagini desolanti di persone sole, di anziani abbandonati, ed in ognuna ero io il protagonista assoluto. Un me vecchio, incanutito, con la barba bianca e lunga ma lo sguardo ancora fiero ed acceso, parlava con un giovane che aveva i lineamenti di mio nipote David. "Cerca sempre l'indipendenza" gli dicevo "chiedere aiuto agli altri non va bene!" "neanche se ho bisogno?" ha chiesto lui sveglio. "Soprattutto se hai bisogno! Non dare mai a nessuno la possibilità di speculare sulle tue disgrazie né di rinfacciarti le cose" "ma così resterò solo!" "si, ma almeno sarai libero". Mi sono svegliato di soprassalto pensando a quello che avevo visto. Sono rimasto a fissare la luce del giorno che illuminava la foto di mio nipote che tengo accanto al letto. Ed ho capito che il subconscio opera in modi curiosi, specialmente quando si va a dormire con pensieri strani e generose porzioni di alcol nel corpo. Mi sono chiesto: esiste un mito dell'indipendenza da raggiungere ad ogni costo? Santo Google ancora una volta mi ha aiutato a farmi qualche idea in merito.

Leggendo vari articoli di psicologi e comunicatori, ho intuito una verità che ci sfugge e che sfuggiva a me fino a domenica scorsa: esistono due tipi di solitudine, quella costruttiva (selezionare con chi stare) e quella distruttiva (scegliere di stare da solo). La prima è quella di cui abbiamo già parlato, sostenuta da Nietzsche: "Odio chi mi toglie la solitudine senza farmi compagnia". Dedicare cioè il proprio tempo alle persone con cui vale la pena stare e che apportano alla propria vita qualcosa di più. Ci vuole una grande consapevolezza di sé per arrivare a operare questa scelta, che comporta spesso anche tagliare i rapporti con membri della propria famiglia o limitarne comunque i contatti.

La seconda solitudine è forse più pericolosa della prima: la scelta di stare da soli. E lo si può fare come gli Hikikomori giapponesi, che si isolano dalla società che ritengono troppo dura e con cui non sentono di condividere nulla; oppure per un eccesso di presunzione ed arroganza, per voler fare da sé, per non voler "dipendere da nessuno". Questa solitudine porta a chiudersi nei nostri problemi, a non volersi fare coinvolgere, a non voler permettere a nessuno di avere una presa, un controllo sulle proprie scelte. Questo concetto potrebbe sembrare molto simile alla solitudine costruttiva, ma in realtà ne è l'esatto opposto ed è l'anticamera di disagi ben più profondi. L'uomo non è autarchico, ha bisogno degli altri per poter evolvere, del confronto e dei chiarimenti, di poter percepire la propria vita da angolazioni diverse. E se sei circondato da persone valide, che sanno di cosa stai parlando, che ti capiscono e ti vogliono bene, è uno spreco enorme non ricorrere al loro supporto.

La solitudine autarchica è una utopia: la paura di creare un legame di dipendenza con qualcun´altro, ci porta ad isolarci e a non avere più gli strumenti adatti per poter affrontare i nostri problemi, dai più piccoli a quelli insuperabili. Abbiamo da una parte paura di dipendere dagli altri e, allo stesso tempo, quella di apparire fragili, incapaci di risolvere le crisi. Di essere vulnerabili. La cosa curiosa è che questo non è altro che un bisogno indotto. Dice Annalisa Barbier, Psicologa cognitivo comportamentale, dottore di ricerca in neuropsicologia e self-help, in un suo interessantissimo articolo su psicoterapiapersona.it: "La società contemporanea promuove il mito dell'indipendenza, dell'autosufficienza autarchica, della libertà intesa come assenza di interrelazione e sganciamento forzato da ogni interdipendenza, da raggiungersi attraverso la negazione del naturale bisogno di appartenenza reciproca. L'imperativo dominante è quello di non aver bisogno di niente e di nessuno, di non permettere agli altri di avvicinarsi a noi e quindi potenzialmente farci soffrire o ferirci: ecco dunque che la distanza dall'altro diventa inevitabile".

leggendo questi articoli, ho compreso che la paura di impegnarsi e la fuga precipitosa non appena si intravede la possibilità di approfondire una conoscenza che ho notato negli ultimi anni, non sono il frutto solo della mentalità take away che caratterizza le relazioni moderne ma anche, e soprattutto direi, dalla cattiva interpretazione del modello di indipendenza della coppia. Modello spesso confuso con la volontà di essere e fare ciò che si vuole, anziché con la voglia di condividersi con l'Altro intrecciando con lui le proprie esperienze. Allo stesso modo, la dipendenza dall'Altro è associata con l'annullamento nell'Altro. Prendendo a prestito le parole di Massimo Silvano Galli, Direttore del Centro Logo Paideia - Terapie del Linguaggio e delle Relazioni di Milano, "l'idea di coppia d'amore, in questa nostra strana e difficile contemporaneità, sembra invece il risultato di due individualità che si fanno contigue ma mai fino al punto di raddoppiarsi veramente se non, a volte, per quel che concerne alcune sparute aree, mentre molte (troppe) risorse rimangono esclusivo dominio delle singole e riservate individualità, mettendo così una seria ipoteca su quel "per sempre" su quale, seppur fantasiosamente e faticosamente, dovrebbe - appunto - erigersi ogni relazione amorosa che voglia almeno provare a stare stabilmente e felicemente in ogni "per adesso".