37. Il bisogno di credere 

21.04.2020

Il web è farcito da notizie dalla dubbia credibilità, che ogni tanto ci fanno sorridere, sempre più spesso però, preoccupano. In qualche modo sono sempre esistite, eppure un salto di qualità c'è stato se il World Economic Forum ha inserito la disinformazione digitale tra i grandi rischi globali del nostro tempo, e un termine come post-verità è stato scelto come parola simbolo del 2016 dall'Oxford Dictionary. Le notizie false sono all'ordine del giorno: si insinuano nelle bacheche di Facebook, rimbalzano sui media tradizionali, vengono elaborate ed utilizzate come strumento di propaganda politica. In definitiva, influiscono in maniera concreta sulle nostre opinioni.

Ma perché esse si diffondano hanno bisogno di qualcuno che ci creda, perché come i virus necessitano di qualcuno che le trasmetta e le porti in giro (non a caso il termine "virale" viene accostato spesso a notizie che hanno avuto una diffusione capillare nel tessuto sociale). Le persone decidono a cosa credere in base alle loro conoscenze e quando trovano un gruppo con delle credenze simili, si legano ad essi con un forte senso di appartenenza, che li fa sentire parte di qualcosa di piú grande e forte. Queste persone non sono stupide, hanno solo delle falle nelle loro conoscenze di cui non si rendono conto. È una modalità di pensiero trasversale, che può coinvolgere persone di estrazioni sociali e culturale diverse. Tutti pensiamo di essere persone ragionevoli e razionali, capaci di formulare idee ed elaborare concetti, ma questo modo di vederci spesso è solo un Bias cognitivo: un preconcetto che può portarci a pensare di avere la ragione assoluta, che ci fa rifiutare qualsiasi argomento contrario al nostro e che in realtà è piuttosto irragionevole. Questo pregiudizio su noi stessi viene chiamato ragionamento motivato.

Il ragionamento motivato è un pregiudizio mediante il quale i nostri desideri, credenze, paure e motivazioni inconsce modellano il modo in cui interpretiamo i fatti. È la tendenza a adeguare la realtà a ciò che già conosciamo e rifiutare quegli argomenti o fatti che vanno contro le nostre convinzioni, credenze e idee. La polarizzazione politica o quella calcistica sono esempi concreti di questo fenomeno. Se siamo legati ad una determinata corrente o idea, difficilmente saremo propensi a credere a qualsiasi notizia che venga dalla parte opposta, a meno che esse non si identifichino con il nostro bagaglio di esperienze e credenze. Questo favorisce anche il Cherry picking, un altro Bias cognitivo che ci impedisce di essere obbiettivi. In pratica, noi tendiamo a rifiutare tutto ciò che mette in dubbio le nostre credenze ed è un meccanismo di difesa della nostra mente, che in questo modo non avrà bisogno di impiegare energie ad analizzare nuovi dati in ingresso.

Questo automatismo della mente, nato per disinnescare l´ansia creata dalla dissonanza cognitiva (cioè il contrasto tra le nostre credenze e le nuove idee con cui veniamo in contatto), in realtá ci impedisce di essere obiettivi ed analizzare idee che possono presentarsi migliori di quelle che già abbiamo. E nessuno ne è escluso: basti pensare che anche premi Nobel e scienziati spesso sono portati a fare errori enormi di ragionamento convinti di aver ragione, per comprendere come realmente sia un fenomeno esteso e diffuso. Questi succede quando diventiamo intellettualmente pigri e prede delle nostre emozioni, che non solo rafforzano i nostri convincimenti ma ci allontanano da quelle degli altri, chiudendoci al confronto e scatenando contrapposizioni spesso violente. Non siamo consapevoli di non essere razionali, e se valutiamo le informazioni in modo obiettivo selezionando i dati con le pinze ed eliminando tutto ciò che non rientra nella nostra visione del mondo, ci condanniamo a un ragionamento circolare, a un'immobilità intellettuale dove non c'è spazio per la crescita. Con il pericoloso risultato di renderci permeabili a idee retrograde, antiscientifiche e, in ultima analisi, ad un regresso sociale e culturale. É per questo che è cosí difficile dissuadere un no vax sulla pericolosità dei vaccini o un terzo della popolazione mondiale che il climate change non sia una bufala. E, come dice un vecchio adagio, puoi portare un cavallo a bere ma se non ha sete non berrà.

Quando pensiamo qualcosa stimoliamo due diverse reazioni. La prima, emotiva e basata sulle nostre esperienze, è incline a qualsiasi Bias cognitivo, mentre la seconda, piú razionale, ci porta ad avere delle conclusioni. Ma il ragionamento motivato crea un corto circuito, che ci fa spesso saltare a conclusioni affrettate, basate su emozioni, aspettative e credenze. Innescando una reazione a catena che ci porta ad avere poca fiducia in quel che è lontano dalla nostra comprensione. Le nuove informazioni ci mettono in discussione, portandoci a mettere in dubbio noi stessi, il nostro percorso e le nostre idee. Con il risultato che possiamo sentire il nostro ego è sotto attacco. Se abbiamo un ego fragile, avremo la tendenza a rinchiuderci per "proteggerci". Di conseguenza, respingeremo gli argomenti opposti e ci attaccheremo ancor di più ai nostri. E a ben poco servono gli inviti ad essere più "razionali", "imparziali" o "di mentalità aperta" che, (come riporta "Angolo della Psicologia") secondo uno studio realizzato presso la Stanford University hanno l'effetto opposto generando resistenza alle nuove informazioni (e facendoci pensare che vogliono manipolarci). Ci mettono sulla difensiva e "spengono" la nostra mente razionale. E se questo non bastasse, accettare idee contrarie al gruppo al quale apparteniamo può generare un senso di sradicamento che ci fa stare male.

Credere in qualcosa è una necessità dell'essere umano, ma se misurare il mondo con il proprio metro può essere vantaggioso sul piano personale e particolare, la realtá che ci circonda è piú complessa e variegata di quanto pensiamo, e non possiamo giudicare tutto con le nostre limitate esperienze. Non esistono risposte semplici a problemi complessi e le interconnessioni tra gli eventi sono cosí tante che spesso è rischioso dare un giudizio avventato. La soluzione potrebbe essere quella di sviluppare una sorta di mentalità scientifica: sospendere il giudizio, alimentare il dubbio, chiedersi sempre perché una informazione ci risulta sgradevole e aprirsi alla possibilità che quel che sappiamo sia incompleto. Esplorare il mondo che ci circonda cercando di andare oltre le emozioni e quello che una informazione ci scatena dentro, senza fermarsi alla prima impressione e lasciandoci il tempo di comprendere.

Dobbiamo sforzarci di essere consapevoli che la nostra autostima non dipende direttamente da quante ragioni possiamo avere. Per essere più logici, oggettivi e razionali, non abbiamo davvero bisogno di essere più logici e razionali, ma di imparare a separarci dall'ego e capire che, se sbagliamo, significa che abbiamo imparato qualcosa di nuovo. E questo è motivo di gioia.