en-33. Trump: un sovranista alla Casa Bianca 

23/01/2022

Ci sono molte cose di cui non vado particolarmente fiero, ed una di queste è il fatto che fossi un Trumpista. In quel periodo ero accecato anche io da una propaganda strana e da tendenze complottiste, avevo letto con interesse due suoi libri e consideravo Trump un buon imprenditore ed un ottimo candidato a guidare il mondo. Ma mi sbagliavo: evidentemente non avevo imparato nulla dalla esperienza italiana, convinto chissà perché che bastasse essere un ottimo dirigente per essere anche un ottimo politico. Una (ben magra) consolazione mi viene dal pensare che insieme a me quasi 63 milioni di americani si sono sbagliati (e buona parte, si spera, non lo rivoteranno piú). Trump è riuscito a farsi accreditare presso l'elettorato americano come l'uomo antisistema, ed ha vinto la sua sfida contro tutto e tutti. Merito suo (e di Putin). Ora però che è Presidente degli Stati Uniti d'America, che si presume abbia un attimino un po' di potere per metterci mano su certe questioni, magari qualche suo supporter oltre ad esaltarsi per le cose che va dicendo poi una minima valutazione sul suo reale operato pure la fa. Non si spiegherebbe altrimenti il perché in un solo anno dal suo mandato Trump abbia battuto il record di calo dei consensi che sia stato mai registrato per un presidente americano nell'era moderna. Il che vuol dire, senza ricorrere alle verità alternative, che molti di quelli che lo hanno votato adesso non lo "amano" più. Ma ormai il danno è fatto, e quanto sia stato devastante (e solo dio sa quanto ancora lo sarà) la presidenza Trump lo si può riassumere in sei punti fondamentali.

    • Il Ritiro delle truppe americane in Siria (lasciando gli alleati Curdi in balia di Erdogan): «I curdi hanno combattuto con noi, ma sono stati pagati molti soldi e hanno ricevuto l'equipaggiamento per farlo. Hanno combattuto la Turchia per decenni. Si sono trattenuti da questo scontro per tre anni. Ma è tempo per noi di uscire da queste ridicole guerre infinite, molte di loro tribali, e portare i nostri soldati a casa», scrive Trump che ribadisce: «Combatteremo dove sarà di beneficio per noi, e combatteremo solo per vincere». La decisione del presidente americano avrà varie ramificazioni e apre le porte a un Medio Oriente post-americano, guidato in primis dalla Russia (guarda un pó, di nuovo Putin) e da attori regionali: Turchia, Iran e Israele. Il ritiro da Damasco e in parte da Kabul segnano la fine di una politica estera americana interventista, dando alla Turchia il via libera ai piani di Ankara contro i curdi.
    • Continue tensioni con l'Iran. Non è chiaro quale sia la strategia di Trump: il presidente americano ha ripetuto piú volte di non voler iniziare una guerra, ma con le sue azioni potrebbe arrivare a provocarla. L´8 maggio 2018 aveva deciso il ritiro dagli accordi sul nucleare stilati dal governo Obama, che avevano gettato le basi per un dialogo tra Teheran e il resto del mondo, ad un ammorbidimento delle sanzioni e consentito a molte compagnie occidentali (tra cui molte Europee) di stabilire rapporti commerciali. La scelta di Trump quindi ha creato tensioni non solo con l'Iran ma anche con i partner Europei, di nuovo. Da allora la politica americana in Iran è stata una serie di decisioni non spiegabili da una strategia precisa, ma solo dall'obiettivo generale di indebolire il regime iraniano e le sue azioni all'estero, e distanziarsi dall'approccio più disteso e diplomatico adottato negli anni precedenti da Barack Obama. È importante ricordare che quando l'8 maggio 2018 Trump annunciò il ritiro degli Stati Uniti dall'accordo sul nucleare, l'Iran non aveva compiuto alcuna violazione consistente dei termini del trattato. A violare l'accordo, semmai, era stato Trump, che aveva deciso di reintrodurre unilateralmente le sanzioni tolte tre anni prima. Le cose sono peggiorate fino a culminare con l´assassinio di Qassem Suleimani, uno degli uomini più potenti dell'Iran, che per anni con diplomazia e con violenza aveva lavorato per aumentare l'influenza del suo paese. I rapporti tra Usa e Iran continuano a deteriorarsi (ci tengo a ricordare le minacce di Trump di attaccare 52 diti culturali in Iran) e ancora una volta a rafforzarsi sono i regimi totalitari a discapito della democrazia.
  • Il ritiro dall'accordo di Parigi sul clima. Donald Trump non ha mai nascosto che per lui la questione del climate change è una "bufala". E già prima di insediarsi alla Casa Bianca, durante la campagna elettorale del 2015 e 2016, aveva svelato il suo scetticismo verso l'emergenza climatica e verso l'impatto dell'uomo sul surriscaldamento dell'atmosfera terrestre, definendo l'accordo di Parigi un ostacolo allo sviluppo dell'economia: Washington avrebbe dovuto tagliare le sue emissioni del 28% entro il 2025 rispetto ai livelli del 2005 ma Trump non ha mai condiviso questo obiettivo, che considera dannoso per l'economia. Troppo costoso per le imprese americane e un fattore di rischio per migliaia di posti di lavoro nei settori ritenuti inquinanti. E infatti, secondo l´agenzia federale per il consumo energetico, le emissioni non sono diminuite nel 2018, bensì aumentate del 2,7 per cento. Se finora gli Usa non erano usciti dall'accordo è solo per le severissime clausole che furono inserite nel testo, in base alle quali chiunque volesse tirarsi indietro non poteva farlo prima di tre anni. Il timore di molti è che adesso da parte di Trump parta una vera e propria offensiva contro gli sforzi internazionali per combattere i cambiamenti climatici, incentivando settori come quelli del carbone, del petrolio e del gas naturale. Effetto primario potrebbe essere che Paesi come India, Filippine, Malesia e Indonesia agiscano in maniera analoga, e questo è molto pericoloso per tutti.
  • Ritiro dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms): vedere gli Usa interrompere la cooperazione, perlopiù in un momento assai delicato per via della pandemia di Covid-19 in corso, fa male. Alla base della decisione di Trump, peraltro annunciata da giorni e sostenuta persino dai media americani anche più progressisti, vi sono le accuse di una "cattiva gestione dell'emergenza coronavirus", come pure di "non aver adeguatamente ottenuto, verificato e condiviso informazioni in modo tempestivo e trasparente" arrivando ad "insabbiare informazioni e dati sulla diffusione dell'epidemia". Trump passa attraverso l'Oms per puntare il dito contro i cinesi: per il presidente Usa il direttore generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus fu in qualche modo convinto dal presidente cinese Xi Jinping in occasione dell'incontro del 30 gennaio a Pechino sulla validità "dei nuovi standard della lotta alle epidemie", nonché "sulla dedizione delle autorità e la trasparenza dimostrata" nella diffusione dell'allarme e dei dati, sui quali continuano ad esserci seri dubbi. Il 14 gennaio, a epidemia ormai largamente conclamata, l'Oms aveva twittato che le indagini preliminari allora condotte dai cinesi "non avevano dimostrato la diffusione (del virus) tra umani". Il sospetto della Casa Bianca e non solo è che l'asse tra i cinesi e l'Oms sia consolidato, anche perché nel 2017 l'etiope Ghebreyesus fu eletto con i voti di quasi tutti i paesi africani, gli stessi in cui Pechino detta legge attraverso il neoimperialismo coloniale. Gli Usa sono il principale donatore dell'Oms con una cifra che si attesta attorno ai 400 milioni di dollari l'anno, e la speranza è che la sospensione annunciata da Trump sia solo temporanea. Di certo la polemica torna utile allo stesso presidente nella logica dello scarica barile, dal momento che i suoi ordini e i contrordini sulla gestione dell'epidemia negli Usa si stanno traducendo nei dati di oggi: 600mila contagiati e 25mila morti.

  • Ritiro graduale dalle organizzazioni internazionali dell´ONU: l'"America first" è al di sopra di tutto, anche della coscienza di appartenere tutti ad un'unica specie umana, e così Trump in questi pochi anni di suo mandato e tra una sbuffata e l'altra ha strappato trattati e tagliato collaborazioni con le Nazioni Unite nella logica dell'"o si fa come dico io o taglio i fondi", denaro che per il Palazzo di Vetro rappresenta una parte consistente delle entrate. Così il vulcanico inquilino della Casa Bianca ha ritirato in poco tempo gli Usa dall'Unesco, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura istituita a Parigi 4 novembre 1946 ma rea di aver riconosciuto di recente la Palestina come paese membro; nel 2017 dal Global compact, il patto dell'Onu per migliorare la gestione mondiale di migranti e rifugiati; nel 2018 dal Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu, giusto per poter ammazzare chi gli pare (come ha fatto con l'iraniano Qassem Soleimani in Iraq); nel 2019 dal Trattato sul commercio delle armi, in modo da sostenere la produzione Usa e le lobby dei fabbricanti di armi che ne hanno determinato l'elezione.
  • La guerra (persa) dei dazi: Dopo due anni di accuse, dazi commerciali, tensioni diplomatiche, Usa e Cina hanno firmato un accordo commerciale che Trump definisce storico, ma che molti commentatori americani ritengono solo una toppa. Nei suoi piani originali, il Presidente aveva sostanzialmente due obiettivi. Il primo: contrastare le sovvenzioni del governo cinese ai settori industriali destinati alle esportazioni, una strategia che il governo cinese adotta in modo da poter esportare prodotti a prezzi competitivi e spiazzare la concorrenza. Il secondo: proteggere le proprietà intellettuali delle aziende americane, che i cinesi spesso riescono a violare imponendo alle società che vogliono stabilirsi in Cina di fare joint venture con imprese locali e di condividere i loro brevetti. Ma nessuno dei due punti, dopo anni di scontri e tensioni, è stato superato. Il governo cinese si è impegnato a far acquisti sul mercato americano, ma per il momento non sembra avere intenzione di cambiare le sue politiche industriali. Il prezzo di questa politica aggressiva ancora una volta l'hanno pagata i cittadini e le imprese americane: mentre infatti i dazi Usa colpivano materiale tecnologico, quelli cinesi colpivano la produzione di beni di prima necessità (basti pensare che al posto di acquistare la soia dagli agricoltori statunitensi, la Cina ha cominciato a importarla dal Brasile). Tuttavia, per l'economia USA, che è ancora stabile e molto forte, il contraccolpo dei dazi non ha rappresentato un grosso problema, mentre la Cina si trova in una situazione che a molti osservatori appare più delicata e precaria. Nonostante questo, però, le pratiche del governo cinese che hanno causato l'inizio della guerra commerciale non sono state modificate e non sembra che lo saranno nel prossimo futuro.