Se la scuola non forgia piú le coscienze, abbiamo un problema.

21.05.2019

Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l'istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere. (Italo Calvino)

Che la scuola sia sotto attacco da almeno 30 anni a questa parte è ormai un fatto assodato: leggi sempre piú permissive, professori esautorati ed esasperati ridotti a meri burocrati, sottomessi a scadenze sempre più stringenti, sottopagati e spesso demotivasti dalle carenze perenni di fondi e possibilità progettuali. Professori spesso non di ruolo, sbatacchiati da una parte al altra dell'Italia nella speranza di avere finalmente la stabilità necessaria per poter non solo vivere serenamente ma potersi dedicare all'insegnamento con piú tranquillità, senza la perenne spada di Damocle della scadenza dell'assegnazione. Per non palare degli istrutti scolastici. Il sedicesimo rapporto dell'associazione "Cittadinanzattiva" denuncia un quadro molto critico sullo stato di "salute" degli istituti. Cinquanta crolli e 13 feriti nell'anno scolastico 2017/18. Ogni quattro giorni in una scuola italiana si assiste ad un crollo. Solo un quarto delle scuole italiane ha l'agibilità-abitabilità, poco più della metà (53%) il collaudo, circa un terzo è in possesso della certificazione di prevenzione incendi e il 36% quella igienico-sanitaria.

Eppure, eroicamente, molti professori non si lasciano scoraggiare e provano a fare il meglio che possono con quel che hanno, con passione e dedizione, consapevoli che hanno in mano il futuro del Paese e un compito non indifferente: quello di formare le coscienze dei cittadini di domani. Secondo Alessandro Barbero storico, scrittore e docente italiano, la classe dirigente occidentale "non capisce letteralmente piú a cosa servano la cultura, la scuola, lo spirito critico, e quando lo capisce, li considera dei pericoli da neutralizzare". Non stupiscono quindi i recenti fatti che hanno portato di nuovo la questione della scuola e della autonomia scolastica al centro della attenzione mediatica per due casi simili ma non uguali e che ruotano intorno alla questione dei diritti civili e soprattutto della creazione di quella famosa coscienza civica cui accennavamo prima.

Lo scorso 11 maggio un'insegnante di italiano dell'istituto industriale Vittorio Emanuele III di Palermo è stata sospesa per due settimane dall'ufficio scolastico provinciale - con conseguente dimezzamento dello stipendio - perché non avrebbe «vigilato» sul lavoro di alcuni suoi studenti di 14 anni che, durante la Giornata della memoria, avevano presentato un video nel quale accostavano la promulgazione delle leggi razziali del 1938 al "decreto sicurezza" del ministro dell'Interno Matteo Salvini. Secondo "Il Post.it", tutto sarebbe nato da un tweet inviato al ministro dell'Istruzione Marco Bussetti a fine gennaio da Claudio Perconte, un attivista di destra di Monza (alcuni giornali scrivono di CasaPound) che si definisce sovranista, in cui questi sosteneva che "una professoressa ha obbligato dei quattordicenni a dire che Salvini è come Hitler perché stermina migranti". Non è chiaro come l'uomo abbia ottenuto le informazioni sul video della scuola di Palermo, fatto sta che il giorno dopo, la sottosegretaria leghista ai Beni culturali Lucia Borgonzoni è intervenuta su Facebook commentando: "Se è accaduto realmente, andrebbe cacciato con ignominia un prof del genere e interdetto a vita dall'insegnamento. Già avvisato chi di dovere". All'ufficio scolastico provinciale di Palermo è poi partita un'ispezione, con conseguenti interrogatori alla professoressa e ai ragazzi, ed è stato emesso un provvedimento di sospensione contro l'insegnante.

Non appena la notizia è diventata di dominio pubblico, e subito partita la gogna mediatica nei confronti della professoressa accusata di fare politica a scuola. come se parlare di migranti e trattare la tematica della Shoah durante la Giornata della Memoria sia non un dovere civico ma una colpa. questo a prescindere dal fatto che a realizzare quel video non fosse stata l'insegnante ma gli alunni in completa autonomia. La professoressa è stata sospesa per mancata vigilanza virgola come a dire che lei doveva vigilare sulla qualità delle idee e dei suoi alunni e impedire che potessero esprimere certi concetti controversi. Le scimmie urlanti che seguono il Ministro dell'Interno non si sono fatte attendere, diventando più realisti del re e attaccando nella persona della professoressa di Palermo tutta la classe insegnante, quella parte che non si arrende e non si allinea al qualunquismo e al semplice nozionismo che impera nella scuola. C'è chi ripete come un mantra quello che continuamente si sente dire sugli insegnanti, di come siano tutti dei sinistroidi arrabbiati e stalinisti, addirittura additando la scuola come un luogo dove si entra moderati e si esce comunisti, quando in realtà è proprio grazie all'istruzione che si possono comprendere quali sono i danni La dittatura, qualunque essa sia. Ma in fondo, qual è il compito di un insegnante se non quello di ascoltare le idee dei ragazzi eventualmente correggere i colpi punto interrogativo un insegnante deve esporre delle tematiche e lasciate liberi i ragazzi di poter ragionare su di essi, fare delle connessioni, aprire un dibattito e magari modellarlo. Un insegnante non può e non deve essere un mero esecutore di programmi prestabiliti da altri, non può inculcare nei ragazzi il senso critico che piace al governo di turno. Un insegnante deve mostrare i fatti, presentarli nel modo più super partes possibile e moderare il confronto fra gli alunni nell'ambito del rispetto democratico. Questi ragazzi forse possono aver sbagliato nell'accostare le tragiche e infamanti leggi del 1938 con il decreto sicurezza (anche se non sono completamente sicuro che sia così). Ma questo mi sembra essere stato l'ennesimo pretesto per intimorire gli insegnanti e costringersi ad uniformarsi a un pensiero che sia quanto più possibile allineato con quello una certa parte politica.

Gli insegnanti, quelli buoni Capaci e preparati, sono la risorsa più grande che uno stato democratico può avere e dovrebbero essere aiutati, valorizzati e supportati nella loro opera di creazione delle coscienze. Ma viviamo in un'epoca in cui la conoscenza fa paura come dicevamo poc'anzi e quindi si ha la necessità di usare qualsiasi mezzo possibile per poter smontare la figura istituzionale dell'insegnante. Un'opera di delegittimazione costante e che viene da lontano ma che non va assolutamente sottovalutata o presa sottogamba. Come spiega benissimo Danilo Iannelli in un suo interessantissimo articolo di qualche anno fa, "In un contesto nel quale le famiglie, sia per ragioni logistiche che culturali, vedono sempre più appassire la loro presenza educativa nella vita dei ragazzi, dovrebbero essere la scuola e la figura dell'insegnante ad assumere questo impegno. Tra famiglie e insegnanti, però, sembra esserci un baratro incolmabile, forse per una mancanza di lucidità o forse per il dilagare dell'estremizzazione di quella ideologia liberal post-sessantottina che impedisce all'insegnante di assolvere a pieno il suo ruolo di educatore. Beninteso, non parliamo di bacchettate e punizioni corporali - mi sembra lapalissiano citare i crescenti casi di violenze, soprattutto nella scuola materna, che vanno in una direzione contraria e sono assolutamente da condannare - ma di permettere all'insegnante di usare sia la carota sia, quando necessario, il bastone del famoso proverbio, trovando l'appoggio e non la condanna incondizionata da parte della famiglia." Purtroppo, però è sempre più diffusa la tendenza a osteggiare le decisioni degli insegnanti da parte dei genitori e di proteggere i propri figli dalle angherie del "professore frustrato".

Il professore viene sovente lasciato solo: non soltanto dall'istituzione scolastica, ma anche e soprattutto dai genitori e dalle famiglie degli alunni. Bisognerebbe restituire autorevolezza - più che autorità - all'insegnante e all'istituzione scolastica; non attraverso le punizioni, che siano esse corporali - come ancora auspica qualche retrogrado - o disciplinari, ma attraverso la riqualificazione del ruolo educativo e formativo del professore e della scuola tutta. Si dovrebbe estirpare la convinzione che la scuola serva soltanto ad ottenere il "pezzo di carta" utile ai fini lavorativi: a partire dalle famiglie, sarebbe opportuno iniziare ad inculcare ai ragazzi, sin da bambini, "l'educazione all'educazione", ovvero la consapevolezza che a scuola non si imparano soltanto nozioni più o meno utili nel mondo lavorativo, ma si acquisisce un bagaglio culturale e formativo necessario allo sviluppo di ogni individuo che miri a coesistere civilmente all'interno della società umana.

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