L’importanza di andare a votare

26.05.2019

Tra poco mi recherò alle urne per esercitare uno dei miei doveri/diritti di cittadino: quello di esprimere la mia preferenza per l'elezione del parlamento europeo. Un diritto sancito sia dalla Costituzione Italiana che dai trattati europei e che vede sempre grandi divisioni, contrasti tra chi vota e chi non vota e che apre sempre grandi riflessioni. Un diritto/dovere che è molto piú importante di quanto la gente comunemente pensi e che ha una storia lunga e travagliata.

In principio fu la Polis. Nel mondo antico, prima della venuta di Alessandro il Grande, della Res pubblica Romana e dell´Imperium di Giulio Cesare, ai tempi dell'impero egiziano, Ittita e Persiano, in una piccola regione del mondo, su montagne scoscese e coste travagliate, nasceva le Démos krátos, il Governo del Popolo. Mentre i grandi imperi di allora si contendevano il controllo della mezzaluna fertile, ad Atene intorno al VI secolo a. C., filosofi, politici e pensatori del calibro di Solone (594 s. C.), Clistene (508 a. C.), Elfialte (462 a. C.) e Pericle (461 a. C.), davano forma alla forma di Governo che anche oggi ci sostiene. Pericle fu l'uomo che realizzò pienamente la democrazia in Atene e le diede un fondamento teorico; la sua idea centrale fu che l'assemblea di tutti i cittadini ateniesi, l'Ecclesia, avesse il diritto di decidere il destino di Atene senza altri limiti che quelli imposti da sé stessa. Egli riteneva la democrazia la forma più evoluta di governo, per cui Atene, madre della democrazia, poteva e doveva considerarsi scuola della Grecia.

Platone parla approfonditamente della Democrazia nel suo trattato La Repubblica (cap. VI), nonché nel suo dialogo Politico, dandone un giudizio negativo: per lui il governo dovrebbe essere tenuto dai filosofi, in una sorta di tecnocrazia. In contrapposizione alla Democrazia e spesso (molto direi) confusa con essa, è la "oclocrazia", letteralmente "governo della massa", concetto introdotto da Polibio per indicare una forma degenerata di democrazia, dove domina non più la volontà del popolo ma gli istinti di una massa variamente istigata da demagoghi o reazioni emotive. L'antica Grecia quindi aveva già sperimentato e teorizzato le grandi forme di governo che anche oggi possiamo vedere nella nostra società contemporanea. Furono poi i Romani a creare la res pubblica, la cosa pubblica che, secondo la definizione attribuita da Cicerone a Publio Cornelio Scipione Emiliano, è cosa del popolo. Il pensiero politico del grande oratore dà particolare importanza alla concordia ordine, la concordia tra i ceti sociali, che rappresenterebbe una sorta di compromesso tra una vera democrazia e un'oligarchia pura.

Durante i millenni che intercorrono tra l'antichità e i nostri travagliati tempi moderni, l'umanità da sviluppato e utilizzato diversi tipi di governo: regimi assolutistici, imperi, monarchie costituzionali... sono state le rivoluzioni (quella Francese prima e quella industriale dopo), a portare l'occidente alla concezione attuale di stato democratico in cui noi siamo cresciuti e viviamo. Il popolo oggi come duemila anni fa partecipa alla vita democratica attraverso il voto, diritto riconosciuto dall'art. 48 della Costituzione. Certo, le cose sono molto cambiate dalla Polis Greca, dove solo i cittadini adulti di sesso maschile e che avessero completato l'addestramento militare (efebia) godevano del diritto di voto; oggi il suffragio è universale e tutti, a meno che di deroghe citate sempre nella Costituzione (Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge art. 48 comma 4), possono esercitarlo. Questo è un passaggio molto importante da comprendere, specialmente alla luce della crescente percentuale di persone che, per sfiducia nelle istituzioni, nella politica o per pigrizia o semplice menefreghismo, disertano le urne andando ad infoltire la folla di astensionisti, che in percentuale ha raggiunto picchi del 50% degli aventi diritto.

È importante ribadire che "Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico" (Art. 48 comma 2) e che l'astensione non è mai una strategia, visto che in ogni caso le elezioni esprimeranno una maggioranza basata sul numero di voti. Per assurdo se anche solo due persone andassero a votare, la loro decisione influirebbe sull'intera vita della nazione, anche su chi non ha espresso alcuna preferenza. L'astensione non è una strategia politica efficace, non si manda alcun segnale ai politici, che si limitano a registrare il dato e fregarsene. Ai politici poco importa del fatto che i cittadini si astengano, a loro importa solo che la maggior parte degli elettori votino per loro, quindi o due o mille o un milione, l'importante è che la maggioranza sia loro. Senza contare il fatto che si rischia di falsare il risultato. Prendiamo per esempio la Lega di Salvini, che ha preso alle ultime elezioni il 17%. In Italia gli aventi diritto al voto (cioè quelli che possono andare a votare per la raggiunta maggiore età) sono all'incirca 46 milioni. Alle ultime elezioni politiche si è registrato un astensionismo del 26%, quindi circa 12 milioni di cittadini hanno legittimamente scelto di disertare le urne. Quindi capite bene come alla fine il famoso 17% si traduca in poco piú di 5 milioni e 700 mila preferenze, su una popolazione di 60 milioni di abitanti. È importante ragionare su questo quando si parla dei numeri della politica e non farsi prendere per il naso dal sovranista di turno, che millantando di essere rappresentanti di una considerevole fetta della popolazione, si atteggiando a leader e usano toni non certo teneri né assolutamente civili e democratici.

Posso comprendere alcune delle ragioni dietro l'astensione, ma non accetto che le lotte dei nostri padri ed i progressi democratici vadano persi per pigrizia, ignavia, indolenza. Diritti tra l'altro recenti, visto che il suffragio maschile in Italia è stato introdotto nel 1912, esteso anche alle donne solo nel 1948, in occasione del Referendum tra Monarchia e Repubblica. Diritto per i quali in Nazioni come il Miamar o i Paesi Islamici ancora si lotta e si muore. E vorrei chiudere con una riflessione prima di andare a fare il mio dovere di cittadino: se il voto non è importante, se alla fine ai politici non servono i voti per fare ciò che vogliono, se è tutta una pantomima come molti spesso dicono, allora perché si affannano per avere piú voti possibili? Perché anche movimenti come MerdaPond che tutto sono tranne che democratici, si presentano alle elezioni? Perché il voto è potere, consenso, legittimazione. Perché il voto alla fine è davvero un segnale, è una delega e deve essere dato con coscienza e conoscenza. Difendiamo il diritto di voto esercitandolo e soprattutto indirizzandolo verso quelle forze che pur con errori, incapacità e limiti, si muovono nel consesso democratico. Buon voto a tutti.

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