en-16. Inflazione e guerra

07/01/2022

Gira una storiella divertente su Facebook in questi giorni, quella di una nonnina che racconta alla nipotina nel 2030 come l´Italia sia cambiata all´uscita dall´Euro e dall´Europa. E cosí ecco le voci degli economisti della strada, che gridano entusiasti "Lasciamo l´Euro e stampiamo moneta". Ma se la maggior parte degli Economisti (quelli veri intendo, non i ciarlatani) è contraria a questa mossa un motivo ci sarà, e non certo per un presunto complotto ai danni dell'Italia, come molti sostengono. Persone che, nella piú rosea e indulgente delle ipotesi, non si rendono conto di applicare regole vecchie di trent´anni ad un mondo completamente diverso. L'unica speranza (con molti dubbi e riserve) è che almeno leggendo la Storia si possa imparare qualcosa, e visto che la storia recente ci porta un esempio secondo me molto calzante di quel che potrebbe accadere in Italia, voglio raccontarvi un aneddoto, e non uno a caso.

La situazione economica della Germania negli anni del primo dopoguerra era disastrosa. Il paese, dissanguato dalla guerra, faceva fatica a riprendersi, anche per il clima di totale insicurezza politica e per le pesanti condizioni che il trattato di pace (il "trattato di Versailles") aveva imposto alla Germania. Questo trattato fu in realtà un diktat dei vincitori della guerra, dominato per lo più da uno spirito di vendetta. Oltre al trasferimento in Inghilterra e Francia di un gran numero di interi impianti industriali e di 150.000 vagoni ferroviari, la Germania perse, a causa della riduzione del suo territorio, il 28% dei giacimenti di carbone e il 78% dei giacimenti di ferro. In più, avrebbe dovuto pagare ai paesi vincitori della guerra, per 42 anni (in teoria fino al 1961), delle ingenti riparazioni di guerra. Era evidente che, anche con tutta la buona volontà, la Germania non sarebbe stata capace di affrontare questo gigantesco sforzo. Infatti, dopo appena un anno fu costretta a dichiarare l'incapacità di continuare a pagare il che portò a nuove trattative e ad una successiva revisione del trattato. Diciamo quindi, con approssimazione, che la Germania era in una situazione economica simile a quella italiana, con un debito impossibile da saldare ed in crescita (il nostro Deficit è di 2.409 miliardi di euro destinato a salire) e una disoccupazione estesa.

Già durante la guerra, in Germania si sentivano gli effetti di una inflazione abbastanza consistente e preoccupante. Per poter pagare gli enormi costi della guerra, il governo tedesco aveva fatto ciò che fanno tutti i governi, quando non sanno più come affrontare una montagna di spese incontrollabili: stampava grandi quantità di banconote. Si sperava di far pagare gli enormi debiti accumulati ai paesi vinti, una volta che la guerra fosse vinta - come la Germania aveva già fatto dopo la guerra contro la Francia nel 1870-71. Ma la guerra fu rovinosamente persa e le conseguenze economiche furono facilmente prevedibili. Ma anche dopo la guerra il governo tedesco, non sapendo cosa fare contro i debiti, continuò a stampare sempre nuove banconote e così, l'inflazione cominciò rapidamente ad aggravarsi, soprattutto a partire dal 1922. Il denaro perse di valore a vista d'occhio. Prima si pagavano pane, latte e patate con alcune migliaia di marchi, poi si passò ai milioni, per arrivare infine a miliardi e addirittura a migliaia di miliardi di marchi. Gli operai venivano pagati ogni giorno. Dall'ufficio paga correvano subito verso il mercato per spendere tutto il guadagnato, perché un giorno dopo i prezzi potevano già essere raddoppiati e nella settimana successiva le stesse banconote potevano non valere più nulla. 200 fabbriche di carta stampavano, giorno e notte, sempre nuove banconote, francobolli e altri valori con sopra delle cifre sempre più astronomiche. Per i più poveri, per quelli che, prima dell'inflazione, non avevano niente non cambiò molto. Chi non ha nulla non può perdere niente.

Anche gli strati più alti della società, quelli che possedevano terre, case, fabbriche, oro o altri valori immobiliari non subirono grandi perdite, o almeno si ripresero velocemente. Ma per lo strato medio della società, per quelli che avevano dei risparmi in banca o piccoli investimenti in titoli di stato o azioni, per loro fu la rovina totale: l'inflazione cancellò in pochi mesi tutta la classe media e milioni di tedeschi furono gettati nella miseria. Il 1923 fu veramente traumatico per i tedeschi e la paura di doverlo rivivere si sente, in modo più o meno articolato, ancora oggi. Gli aiuti americani avevano in un certo modo aiutato l'economia a risollevarsi, ma l'avvento della crisi del 1929 la Germania si ritrovò ancora piú indebitata, povera e affamata di prima. Con le conseguenze che sappiamo tutti.

Prima di lanciarsi in speculazioni fantasiose di abbandono dell'euro nella posizione di debolezza economica in cui viviamo è non solo un pericoloso segnale di avventatezza ma, soprattutto, un tangibile segnale di ignoranza. Della storia in primis ma anche del come funziona l'economia, di come le cose possono andare ancora peggio di come siano andate allora alla Germania e soprattutto, del reale pericolo che una mossa cosí azzardata può comportare per la vita di tutti. Con questo non voglio certo difendere la Germania né le posizioni della Cancelliera Merkel che, in un momento cosí cruciale per l'Europa, si mette in mezzo non tanto contro gli interessi dell'Italia (sfido chiunque di voi a prestare a cuor leggero dei soldi a qualcuno che non solo ha dimostrato di non saperli gestire ma che molto probabilmente ve li restituirà tra 30 anni) ma contro l'interesse stesso dei Tedeschi e dell'Europa. Perché nel momento in cui bisogna fronteggiare insieme una crisi economica che si prospetta devastante, di fronte ad una sicura sciagura che travolgerà tutti, la Cancelliera fa fronte comune con gli altri contro una riforma epocale e davvero unitaria dell'Europa. Posso capire i timori per la propria economia, ma in questo momento c'è in gioco molto di piú della prosperità di una nazione, ma quanto quella di un intero continente.

E non faccio un discorso patriottico per l'Italia ma per l'Europa, di cui mio sento figlio e di cui continuerò a difendere il sogno, contro quelli che vogliono distruggerla e contro coloro che non vogliono cambiarla. Perché certo l'Italia è la mia patria primogenita, terra dell'inventiva e delle eccellenze, delle grandi aziende che si mettono in gioco per produrre ciò che ci occorre, ma dobbiamo anche cambiare noi come italiani, amarlo un po' di piú questo grande paese e con i fatti non con le storielle. Come ho detto ieri, la colpa della situazione attuale è anche e soprattutto la nostra che negli anni abbiamo depredato lo Stato, considerato come la mucca da mungere e contribuendo a creare l'enorme e mostruoso debito pubblico che ci affligge. Abbiamo vissuto al d sopra delle nostre possibilità, sperperando e rubando, e adesso ce la prendiamo con gli altri? È il momento di cambiare, di diventare onesti, di scegliere bene chi votare, di voltare le spalle ad atteggiamenti clientelari e mafiosi. Altrimenti anche se sopravvivessimo ad una eventuale Italexit, ci troveremo come il Venezuela.

Questa è la piú grande prova che dobbiamo affrontare dal secondo dopoguerra, sia come singole realtá Nazionali che come Europa ed è il momento di dimostrare quanto forti siamo e quanto davvero vogliamo essere protagonisti e non vittime della storia.