Orgie in cantina, crociate in piazza: Ungheria e la farsa dei valori

04.06.2025

di Nicola Accordino

C'è qualcosa di profondamente grottesco in quel che sta succedendo in Ungheria. Un Paese che si fregia di "valori tradizionali" e "morale cristiana" che, come in un teatro dell'assurdo, vieta il Pride, reprime con violenza chi semplicemente vuole esistere e amare, e contemporaneamente ha tra i suoi politici di punta un deputato europeo beccato a partecipare a un'orgia gay durante il lockdown più rigido. Non è la trama di una commedia nera, è realtà. Questa ipocrisia è lo specchio di un potere che usa la morale come arma per mantenere il controllo, mentre si sporca le mani con corruzione, ricchezze accumulate illegalmente e tradimenti quotidiani di tutto ciò che predica.

L'Ungheria, come molti Paesi dell'Europa centrale e orientale, porta nel suo Dna la cicatrice di secoli di oppressione, invasioni e regimi autoritari. Qui la paura dell'"altro" è stata usata da sempre come strumento di dominio. Non stupisce, dunque, che la comunità LGBTQ+ diventi il capro espiatorio perfetto in un momento in cui l'insicurezza sociale cresce, la povertà aumenta e le disuguaglianze si fanno insanabili. È la stessa logica per cui si sono costruiti i fantasmi contro ebrei, zingari, oppositori politici, minoranze varie: colpevoli di esistere, di essere diversi, di disturbare il comodo ordine dei privilegi.

Non a caso, la narrazione ufficiale di Orban e della sua cricca è costruita su un "noi contro loro" molto vecchio, ma molto efficace. Dietro l'attacco alla comunità LGBTQ+ si nasconde la paura di perdere il controllo su un Paese dove il dissenso cresce, e dove la povertà e la precarietà toccano sempre più persone, in particolare i giovani e le donne.

Viktor Orban non è solo un politico autoritario, è un maestro dell'arte della manipolazione e della distrazione. Mentre vieta il Pride e mette al bando ogni forma di educazione inclusiva nelle scuole, sotto il tappeto si nasconde un sistema clientelare che arricchisce sé stesso e pochi eletti. Le tangenti, gli appalti gonfiati, i patrimoni personali accumulati con i soldi europei – quei fondi che dovrebbero servire a creare sviluppo e coesione – finiscono nelle tasche di una élite che non rappresenta affatto il popolo ungherese.

È paradossale e amaro che proprio quei soldi europei, pagati dalle tasse di tutti, inclusa la comunità LGBTQ+ e chiunque contribuisca con fatica, vengano usati per finanziare una politica che reprime quella stessa comunità e mina i valori democratici fondanti dell'Unione.

Un esempio lampante di questa doppia morale è il caso del deputato europeo ungherese beccato in pieno lockdown a partecipare a una festa sessuale clandestina con altri uomini. Il tipo che in aula vota contro i diritti LGBTQ+, ma nel privato infrange le stesse regole che impone agli altri. La faccia tosta è tale che sembra quasi una presa in giro per chi lotta per i diritti umani e civili.

Ma d'altronde la destra ci ha abituato a questi capovolgimenti dell'etica anzi, della non etica. Loro hanno esettica, apparire, apparenza. Forma. ma la sostanza, l'etica, non esiste.

Se l'Ungheria è riuscita a trasformarsi in una polveriera sociale e culturale, gran parte della responsabilità ricade sull'Europa e sulla sua presunta "difesa dei diritti". Le parole di condanna arrivano, certo, ma sono spesso timide, tiepide e senza seguito concreto. Il meccanismo europeo, fatto di compromessi e interessi economici, rende difficile agire con decisione. Così mentre Bruxelles si riempie la bocca di "valori comuni", di "democrazia" e "diritti umani", nei fatti lascia mano libera a governi come quello di Orban.

Il problema è strutturale: la Commissione Europea è sempre più un corpo burocratico privo di muscoli reali, mentre il Consiglio Europeo, che dovrebbe rappresentare i governi, è spesso paralizzato dalle rivalità nazionali e dalla paura di perdere consenso interno. Di fronte a una minaccia così palese, l'Europa appare come un gigante dai piedi di argilla, incapace di difendere chi subisce discriminazioni e violenze.

Quando si parla di "Ungheria fuori dall'UE" non si intende solo un'uscita formale, tipo Brexit, ma una fuga di fatto dai valori e dagli impegni che legano l'Unione. Il governo di Orban sta scavando una voragine che rischia di far saltare gli equilibri interni, trasformando l'Europa in un campo di battaglia tra democrazia e autoritarismo.

Se l'UE non alza la voce con forza, se non impone sanzioni serie e non dà sostegno concreto alla società civile e a chi resiste dentro il Paese, questa deriva potrebbe contagiare altri Stati membri, creando un effetto domino letale per la coesione e la credibilità dell'Unione stessa.

La repressione contro la comunità LGBTQ+ in Ungheria non è solo un attacco a un gruppo sociale: è un colpo alla dignità umana, un tentativo di negare il diritto di esistere e di essere riconosciuti come persone con pari diritti. Questo è il punto che molti sembrano non capire, o fanno finta di non vedere.

Il progresso, in senso vero, non può essere solo tecnologia, economia o crescita materiale. Il vero progresso è il riconoscimento dei diritti fondamentali, l'accettazione della diversità come ricchezza e non come minaccia. È il riconoscimento che l'umanità si arricchisce nel momento in cui smette di temere e iniziare a comprendere.

Come scriveva Camilleri con la sua lirica lucidità, "Chi non accetta l'altro, chi non vuole vedere la differenza, sta scavando la fossa anche per sé stesso." La lotta per i diritti LGBTQ+ è quindi una battaglia che riguarda tutti, perché in gioco c'è il modello di società che vogliamo costruire.

Ma non tutto è perduto. In Ungheria, nonostante la repressione, la società civile resiste con forza. Attivisti, artisti, giovani coraggiosi stanno portando avanti una battaglia di dignità e libertà, sfidando il regime con coraggio e creatività. Sono loro il vero cuore pulsante del Paese, la voce di una generazione che non si rassegna.

Questo Pride Month deve essere un richiamo acceso a non abbassare la guardia, a sostenere chi combatte, a ricordare che i diritti non sono regali da elemosinare, ma conquiste da difendere con coraggio e determinazione.


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