Verrebbe da chiedersi chi non vorrebbe un padre cosí: presente, pieno d´amore, desideroso di far parte nella vita del figlio nonostante ne venga allontanato.
en-Tutto cambia perché nulla cambi
Ne "Il Gattopardo", opera immortale di Giuseppe Tomasi di Lampedusa magistralmente trasposto al cinema da Luchino Visconti, Tancredi, nipote prediletto del principe Fabrizio Salina, pronuncia una farsa enigmatica e sibillina, divenuta frase simbolo del romanzo: "se vogliamo che tutto resti com'è, tutto deve cambiare".
Questa frase mi è tornata in mente mentre scendevo ieri dall'aereo a Catania e attraversavo parte della costa nordorientale della Sicilia per tornare due settimane a casa dei miei. Attraversare i luoghi della mia gioventù e constatare l'immutabilità dei luoghi, delle persone, persino degli alberi e dei cespugli lungo le strade mi ha fatto sentire sicuro, protetto dal trascorrere del tempo e dalle sue ingiurie. Ma poi sono arrivato a casa ed ho subito notato l'assenza di due querce che si protraevano pericolosamente sulla strada e che erano state tagliate da mio padre. Quelle querce erano sempre state li sin da quando avevo undici anni e ci eravamo trasferiti in campagna. Quelle querce o per melio dire la loro assenza erano un simbolo del tempo che passava ed ho sentito una forte e prepotente nostalgia di quei tempi in cui tutto sembrava piú facile, che bastava stendere la mano per afferrare il proprio sogno e stringerlo al petto.
L'immutabilità è solo apparente, il tempo cambia, noi cambiamo, tutto è in divenire. Di quel ragazzino bramoso di attenzioni e conferme resta ben poco ormai, divorato dalla vita, dagli impegni, dalle congiunture. Letteralmente di quella versione di me non esiste piú nulla: le cellule del nostro corpo vengono sostituite e l'età media di tutte le cellule nel corpo di un adulto potrebbe andare dai 7 ai 10 anni. Eppure, il cambiamento, seppur formale, è solo superficiale. Di quel bambino che ero restano solo i ricordi traballanti delle sensazioni cangianti che attraversavano il mio corpo. Mia madre è sempre la stessa che appena vede una scena piú spinta in un film cambia canale. Mio padre è quello con cui gli scambi restano su un livello non troppo approfondito. Cambia la forma, si invecchia, ma dentro tutto resta com´è. Perché il cambiamento reale non deve venire da fuori ma da dentro di noi.
Sembra una frase fatta ma in realtá è un concetto difficile da applicare alla propria esistenza, accettare di essere caduchi, di non essere qualcosa di definitivo ma di mutare. La sensazione di non cambiare, abbracciare e agganciare la nostra esistenza a delle cose o delle situazioni che eleggiamo a immutabili, ci da la falsa sicurezza di essere qualcuno, una entità definita non una massa informe di argilla nelle mani di un demiurgo bambino. Abbiamo il terrore di guardarci allo specchio e non riconoscerci, non sapere piú chi siamo, di perdere le nostre certezze. Ci diamo una forma ma non capiamo che dentro siamo un mare che cambia, che scava, che muove, che cresce e si ritira. Siamo una massa in movimento che si adegua al contenitore in cui lo costringiamo ma che allo stesso tempo spinge in ogni direzione quando il recipiente diventa una gabbia. Non vogliamo guardare a questo mare perché non sappiamo né cosa sia né dove ci porterà. Non vogliamo barattare la certezza di sapere cosa siamo (un dottore, un operaio, un banchiere, un barista) con l'assoluta e incalcolabile incertezza di non sapere chi siamo. E per questo ci fossilizziamo nelle decisioni, nelle situazioni, nei comportamenti.
Il cambiamento fa paura sempre. Eppure, è necessario oltre che inevitabile. Ci sono coppie che stanno insieme nonostante l'amore sia finito solo per paura di stare soli, per non distruggere l'equilibrio su cui contano per farsi dare forma e contenuto. E soffrono nel vivere una vita che gli va stretta, che odiano, che non amano piú. Vivono vite sacrificate per non affrontare quel mare che hanno dentro, per non dover ammettere il fallimento, convinti che l'amore sia un sentimento immutabile, che si possa amare sempre allo stesso modo, che sia quella la risposta al marasma che sentono. Eppure, il cambiamento fa parte anche dei sentimenti, che non sono monoliti immobili nel tempo e nello spazio ma cambiano, come cambiamo noi e la natura che ci circonda.
Qualsiasi aspetto della nostra vita è un continuo divenire, anche se cerchiamo di non pensarci. Ci diamo dei nomi, degli aggettivi, ci appiccichiamo addosso etichette e convenzioni. Avevo una T-shirt a cui ero molto affezionato. Un giorno in cui sono venuto qui in Sicilia, mia madre l'ha vista e mi ha chiesto perché portassi ancora in giro quella vecchia maglia nonostante fosse ormai scolorita e un po' consumata. Io le ho risposto che quella maglia aveva per me un valore affettivo enorme e mi ricordava un bel periodo della mia vita. Lei mi ha guardato un po' stranita da quella risposta, non comprendendo il valore affettivo che stato dando a quell'oggetto. Questo facciamo nella vita: vestiamo un abito e decidiamo di portarlo per tutta la vita senza chiederci se fosse quello che fa per noi. Lo facciamo perché diamo a quel vestito mentale non solo un valore affettivo (dopo tutti questi sacrifici, anni spesi, impegno e dedizione non posso cambiare lavoro) ma anche perché ci definisce socialmente (sono un barista, un dottore, uno showman). Se guardo alla mai vita in questo momento è cosí. Sto valutando da tempo se sia il caso lasciare il mio lavoro, che non mi soddisfa ormai anzi che mi da stress e non finire, e cercare un'altra azienda a cui prestare i miei servigi. Ma non mi decido perché ho paura di perdere la mia routine, di mettermi in gioco, di dover rivedere le mie posizioni in modo determinante. Paura di non trovarmi bene in un'altra situazione lavorativa, di perdere quei pochi status che ho per peggiorare la mia disponibilità di tempo libero. Ho paura ma dovrò farlo e non tanto per cambiare davvero qualcosa ma per poter mantenere lo status mentale libero della mia esistenza. Non posso fare altro che arrendermi e guardare oltre a questo, decidere che quel malessere che sento non posso continuare a sopportarlo. Non posso continuare a stare male, spendere le mie energie per arginare quel mare che ho dentro e preservare un contenitore che sta andando in frantumi. Meglio spendere quelle energie per creare, costruire, crescere.
Tutto si evolve infondo. Non possiamo fermare il cambiamento come non possiamo arginare il mare. Possiamo solo fare in modo che ne valga la pena e che sia una evoluzione per noi e un modo per spandere luce intorno a noi, cercando di abbellire questo mondo cosí pieno di gente spaventa rinchiusa in gabbie che non vuole vedere.
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