en-Il self Publishing ha distrutto l’editoria italiana (?)

21/04/2021

Dopo quattro giorni di Salone del libro di Torino (giunto tra polemiche e disagi organizzativi piú o meno grandi alla sua 32 esima edizione), è tempo per me di richiudere la valigia, straripante di nuovi libri da leggere, e ripartire. Prima di tornare alla normalità della mia vita a Monaco di Baviera, credo sia importante fissare l'esperienza di questo evento a cui sognavo di partecipare, prima da lettore e poi da scrittore, da almeno 20 anni. Ed è in questa doppia chiave di lettura che ho guardato a questa grande riunione di autori, lettori e editori, cercando di comprendere il mondo letterario italiano e quello dell'editoria, al netto di polemiche sterili, distruttive e soprattutto politiche che nulla dovrebbero avere a che fare con la letteratura (almeno non nei termini in cui sono state poste).

Sicuramente il Salone del Libro resta una delle vetrine piú importanti dell'editoria italiana, e questo è il dato di fatto da non dimenticare. Tutto ciò che quí di buono o cattivo accade, finisce indubbiamente per influire sull'ambiente culturale del Paese. Non a caso è sempre molto forte la presenza di autori di spicco delle Case Editrici, di vario ordine di grandezza, che incontrano i lettori e rilasciano dichiarazioni. Da lettore ho avuto la possibilità di confrontarmi con autori che seguo non solo (e non tanto) per quel che scrivono ma per la loro presenza in trasmissioni radio televisive (Roberto Saviano, Piergiorgio Odifreddi, Michela Murgia...), mentre da autore mi sono abbeverato alla fonte di autori di grande fama e che hanno accompagnato tratti della mia crescita (Erri de Luca, Louis Sepulveda, Stefano Benni...), comprendendo aspetti della scrittura da me poco esplorati o non ancora assimilati appieno. Insomma, una esperienza che tutti devono fare almeno una volta nella vita e che spero possa arricchire, come è successo a me, decine di migliaia di persone.

Ma alla fine, spente le luci su questa kermesse, cosa resta ad un autore come me, che scalcia come molti nell'universo del self publishing alla perenna caccia di un editore come i sei personaggi in cerca d'autore di pirandelliana memoria? Sicuramente resta la grande consapevolezza di fondo che, se vuoi che il tuo messaggio arrivi a piú persone possibili, devi imparare a veicolarlo al meglio, cercando di avere prima di tutto rispetto della scrittura come arte creativa, ma direi anche e soprattutto del lettore, che è in ultima analisi non un contenitore in cui svuotare qualsiasi cosa, ma un fiore da coltivare e far crescere con amore. È questa forse la cosa che piú mi ha colpito in questa full immertion nel mondo dell'editoria italiana. Tutti scrivono, tutti hanno il romanzo del secolo, tutti hanno un messaggio, ma siamo davvero sicuri che sia cosí? Siamo davvero sicuri che tutti siano davvero capaci di portare un vero arricchimento al lettore, tale da farlo crescere e maturare?

Il desiderio di diventare famosi, le manie di protagonismo, il bisogno quasi fisico di essere qualcuno in un mondo sempre piú spersonalizzato, portano molti a credere che la via del libro sia la soluzione ai propri dolori interiori. Molti si improvvisano scrittori e restano convinti fino alla fine della validità del proprio progetto pur non sottoponendolo (e di rimando, non sottoponendo sé stessi) ad una accurata analisi. Ho l'impressione che la tecnologia in questo caso non sia stata molto di aiuto: parafrasando Umberto Eco, il self publishing ha aperto le porte della letteratura non tanto a chi non ne avesse le competenze (quelle possono essere acquisite ed affinate con tempo, lavoro e fatica), ma quanto a chi non ha la necessaria umiltà per mettersi in gioco, chiedersi che cosa non vada nel proprio lavoro, capace di accettare le critiche e le stroncature in modo positivo e propositivo. Soprattutto non hanno rispetto per chi alla fine leggerà quelle opere e che avrà investito una determinata somma di denaro e soprattutto il proprio tempo per leggere.

Lo so, molti dei miei collegi scrittori non si troveranno d'accordo con questa mia affermazione, ma è un dato di fatto che non solo ci siano pochi lettori in Italia, ma che ci siano una marea di autori di libri di tutti i generi, ma che alla fine le proposte realmente originali, di impatto o che rivoluzionano in modo positivo la letteratura siano sempre meno. Mi è capitato di parlare con molte persone durante i miei turni allo stand dove esponevo i miei libri e le file per assistere a qualche importante evento. Molti sono quelli che accarezzano il sogno di essere pubblicati da una casa editrice, molti hanno un libro che aspetta nel cassetto di essere portato alla luce ed alla attenzione del pubblico. Molti autori self lamentano le poche vendite, di non avere abbastanza visibilità, addirittura se la prendono con i lettori "che non capiscono" il grande valore che delle loro opere. Presunzione ed arroganza. Io stesso lamento il fatto che i miei libri non abbiano abbastanza considerazione, ma invece di inveire contro chi, pur avendo letto il libro, non lascia una recensione o non ne parla con tutto il mondo, mi chiedo continuamente se il problema non stia in me, nel mio modo di scrivere, nel mio modo di pormi d fronte alla scrittura, addirittura se non ci sia di fondo una carenza di capacità o informazioni. Mi resta sempre in mente un aneddoto raccontato da T. Harv Eker ne "I segreti della mente milionaria", in cui una volta una persona gli disse: "Harv, se sei nella situazione in cui sei, forse c'è qualcosa che non sai". Ecco, questo è il mio pensiero fisso. Forse se sono in questo limbo, c'è qualcosa che mi sfugge e mi interrogo continuamente in merito. Anche troppo dice qualche mio amico, fino all'ossessione. Per molti self invece il problema è esattamente l'inverso.

Sia ben chiaro, io sono un fautore del self, sono dell'idea che la tecnologia abbia aperto ampi spazi per la creazione di cultura, ma è anche vero che le persone sono state lasciate completamente da sole nella gestione e comprensione di questo fantastico strumento, inondate da informazioni errate sulle immense potenzialità della autoformazione e spinte a credere di poter fare di tutto senza avere le giuste competenze. Anche io fino a poco tempo fa facevo parte di questa schiera di persone, spesso frustrate dai propri risultati scadenti o comunque non in linea con le proprie aspettative, che incolpavano gli altri, i lettori che non capivano, che non apprezzavano il genio. Ma come ho deciso io di cambiare atteggiamento e cercare di capire, cosí mi piacerebbe che facessero anche gli altri colleghi self, colti da manie di protagonismo, spesso facili al linciaggio (certi gruppi facebook sono rinomati per essere dei covi di giovani promesse della letteratura frustrate e pronte ad azzannare gli altri per qualsiasi cosa), possono comprendere che l'unica strada è guardare dentro sé stessi, accettare i propri limiti e soprattutto fare un passo indietro se necessario.

Ho vissuto il poco interesse suscitato dai miei libri fino ad adesso come una sconfitta, una imperdonabile debacle che metteva in gioco tutto quello che credevo su me stesso, sui miei libri, sulle storie e sui messaggi che cerco di veicolare. Ma alla fine che cosa è una sconfitta? È solo un arresto momentaneo su un percorso, un segnale di stop sulla via verso la nostra realizzazione. Non ci sarebbe forse nulla di male se io decidessi di smettere di scrivere e tornassi a riempire la mia vita di libri da leggere, limitandomi semplicemente a tenere questo blog. Dalla scrittura ho avuto già tanto, tante esperienze, amicizie, incontri interessanti. Momento indimenticabili che restano e fanno parte di me e di quello che sono. Alla fine, forse il messaggio piú forte dobbiamo mandarlo a noi stessi.

E allora, tornando alla domanda principale, è vero che il self publishing ha distrutto l'editoria italiana? Forse sì e forse no. Ha sicuramente distolto l'attenzione da quelli che realmente sono i grandi casi letterari, per quanto l'editoria in generale sia ormai sotto scacco del sistema consumistico e capitalistico, privilegiando quindi filoni letterari o tematiche che sono di impatto e che quindi permettono piú vendite, introiti, visibilità. Ma in ultima analisi, il self publishing ha inondato il mercato di opere scadenti, incomplete, inconcludenti, che hanno finito per ingolfare il sistema. Tutta una generazione di lettori si è indirizzato verso il self perché generalmente piú economico e accessibile, con il risultato di "rovinarsi" il palato letterario con opere di poco valore, finendo per preferirle ad altre piú complicate e sicuramente di qualità. Ed il mondo dell'editoria, annusando l'affare, ha fatto sì che questa merda venisse istituzionalizzata cominciando a sfornare titoli stereotipati e di tendenza, aggravando la mancanza di gusto dei lettori. Un circolo vizioso da cui si esce solo con un grande desiderio di conoscenza ed un vero amore per la lettura e la scrittura. In un mondo fatto di lettere e parole, se troppi si mettono a parlare non si capisce nulla. Un lettore si trova spaesato, confuso, spesso tradito dall'autore emergente a cui ha dato fiducia. E questo non va bene. Noi autori di self dobbiamo recuperare la deontologia necessaria per scrivere opere di qualità, nel rispetto del nostro tempo ma soprattutto di quello che ci legge che, come ha detto al salone Louise Sepulveda, deve leggere l'ultima pagina con la sensazione di volerne ancora. E solo quando riusciremo a raggiungere questo obiettivo, allora potremo ritenerci davvero Scrittori con la S maiuscola.

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