en-Grindr e i suoi fratelli, ovvero l’inferno dei siti di incontri

02/09/2020

Quando nel 2004 sono approdato a Roma pieno di idee, sogni da realizzare e desiderio di indipendenza, il mondo era molto diverso da oggi: Facebook non esisteva ancora, c'erano molto meno analfabeti funzionali (o almeno non erano cosí evidenti) ed i luoghi di incontro omosessuale si contavano sulle dita di una mano. Non c'erano Smartphone, fibra, connessione veloce, Wi-Fi. Diciamo che per gli standard attuali si era all'età della pietra. Mi sono affacciato a quella nuova realtà consapevole di quanto avessi lottato per essere lì, pronto a coronare il mio sogno trovando la persona giusta con cui condividere quello splendore. Per me, scappato dalla monotona e stanca realtà della provincia italiana, la città era un sogno, una aspirazione di vita da realizzare.

Qualcosa però si frapponeva tra me ed il mio sogno di felicità: la mia timidezza. Attenzione, non è che adesso a quasi 40 anni sia cambiato molto, ma almeno dopo tre birre comincio a lasciarmi andare, mentre all'epoca ero tendenzialmente astemio (e in questo la Germania mi è stata ottima maestra con le sue fantastiche birre). Non ero il solo a soffrire di questo problema, in un mondo che sempre piú premiava i belli, i fisicati, quelli che sapevano vestirsi bene. Per fortuna ci venne in soccorso la tecnologia: una manciata di creatori ci mise a disposizione un mezzo per poter parlare con gli altri, per conoscersi e magari perché no, anche incontrarsi. Negli anni duemila l'utilizzo del computer non era quasi piú relegato ai nerd, ai secchioni, ma cominciava ad aprirsi ad un utilizzo piú ampio, anche se meno consapevole. È in quegli anni che cominciarono a nascere le chat di incontri.

La prima su cui ho bazzicato a lungo è stata Gay.it, che allora era solo su computer e quindi ancora poco invasiva. Venivo come tanti dalle esperienze degli annunci su giornali per soli uomini come "Babilonia" o sui siti di incontri, quindi ero consapevole che avrei rischiato di incontrare persone che fingevano di essere qualcosa che in realtà non erano, ma si sperava che il rischio valesse la candela: d'altronde come si dice a Roma, chi non risica non rosica. In fondo speravo di non essere l'unico a cercare qualcosa di piú della botta e via, ed infatti quei primi anni sono stati molto proficui facendomi incontrare qualche persona davvero interessante e facendomi vivere qualche avventura che non dimenticherò mai. Ma ho cominciato anche a scontrarmi con una realtà che faceva parte del mondo omosessuale (ma anche del resto della cultura occidentale in generale), che stava diventando predominante: quella del "fast food".

La maggior parte del tempo infatti lo trascorrevo difendendomi da chi cercava di attaccare bottone in tre frasi: Anni? Da dove Digiti? Attivo o passivo? Ho sempre considerato queste domande molto avvilenti, anche se non voglio giudicare chi le poneva, comunque mi metteva molta tristezza doverle subire. Film come "C'è posta per te" ci avevano riempiti di aspettative circa il potenziale di internet, ma queste persone mostravano secondo me di non aver compreso a pieno il grande potere che avevano tra le dita e si concentravano solo sul momento, sul piacere immediato, sulla ricerca di una soddisfazione corporale da raggiungere con ogni mezzo lecito. Nonostante i rischi, i racconti preoccupanti e ipocondrie varie, le chat erano vive e pullulanti.

Fino ad allora, per paura di compromettere il mio anonimato visto che ancora non avevo completato il mio processo di coming out, finché ero rimasto in Sicilia avevo avuto ben pochi incontri e quasi tutti a Messina, la città piú prossima a me. Con altrettanta circospezione avevo risposto a qualche annuncio quando stavo in Sardegna ed in Toscana, ma con scarsissimi risultati: appena approdato a Roma non mi sono piú preoccupato di frequentare l'ambiente omosessuale, protetto dall'anonimato della vasta città, incluse le chat.

Quando nel 2014, dopo una relazione stabile di quasi 8 anni, mi sono riaffacciato al mondo delle chat, ho scoperto che era completamente cambiato. L'avvento di Facebook prima e poi di Apple ed Android avevano rivoluzionato tutto; le chat, divenute obsolete, si erano evolute in App da scaricare su Smartphone e portare sempre con sé. Internet usciva dalle mura di casa e cominciava a camminare per le strade, con i suoi pro ed i suoi contro.

Grindr, lanciata nel 2009, è stata la prima app del genere ed ha fatto da apripista a tutto il settore. La semplicità di fruibilità ed utilizzo, la geolocalizzazione e portabilità, la possibilità di creare un profilo con foto, nome e informazioni personali, le ha fatto conquistare il mondo Lgbt. Poi sono venute Gay Romeo, Tindr e altre decine di app simili, che promettevano incontri e socializzazioni a tutto andare.

Ma...

In tutta questa storia bellissima ed affascinante c'è un ma enorme. Perché se è vero che lo sviluppo tecnologico e la diffusione dei social ci ha permesso di essere connessi, è vero anche che diventiamo sempre piú incapaci di comunicare. Le chat, da panacea contro la timidezza e l'introversione, sono diventate trappole per chi non riesce piú ad esprimersi per paura di essere diverso, per paura che l'immagine di sé venga rifiutata. Ci si nasconde dietro uno schermo per non dover affrontare l'altro. L'evoluzione della comunicazione, che era promettente e che avrebbe dovuto moltiplicare le possibilità di incontro le ha paradossalmente dimezzate se non azzerate.

La generazione precedente la mia aveva luoghi di cruising e locali talvolta clandestini in cui incontrarsi, spesso i giochi di sguardi e le parole in codice erano l'unico modo per capirsi, riconoscersi e scegliersi. La mia generazione ha vissuto il passaggio da questa realtà quasi clandestina ad una un po' piú aperta ed emancipata tramite riviste tipo "Babilonia" che promuoveva la cultura omosessuale, lo scambio di messaggi, una rubrica di incontri etc. Ma le nuove generazioni? Temo abbiano perso il gusto di conoscersi e scoprirsi. E questo è molto triste. Si sta facendo un uso esagerato e secondo me sbagliato del grande potenziale della tecnologia. Le app sono diventate delle vetrine su cui esporre sé stessi, cercando di attirare le persone con pose e frasi ad effetto.

L'aspetto piú triste se vogliamo, è la velocità con cui oggi si sceglie di approcciare o scaricare qualcuno. La spersonalizzazione dei rapporti umani fa si che si scrolli velocemente passando al profilo successivo, a volte analizzando solo una manciata di dati, dimenticando spesso che la persona dietro quel profilo virtuale è reale come noi ed è piú della foto profilo o del testo inserito. Non ci si dà piú il tempo di conoscere e farsi conoscere, si corre sperando di trovare qualcosa di migliore, sempre di meglio. E la cosa brutta è che questo comportamento sincopato si è spostato dai social alla vita reale.

La ricerca della perfezione ci sta portando verso la solitudine, perché la perfezione non esiste se non nei nostri sogni, ed un po' come per il discorso che facevo qualche tempo fa sull'amicizia, tutti cercano l'amore vero ma in pochi si preoccupano di essere la persona giusta, con il risultato di essere sempre in una perenne e inconcludente ricerca. La velocizzazione dei rapporti, diventati frenetici, si rispecchia anche in un altro aspetto che io trovo sconcertante: oggi nei vari locali o discoteche, è possibile vedere ragazzi ventenni con in mano l'immancabile telefonino intento a scrollare profili segnalati come "vicini" dalla propria app di fiducia. Laddove quindi un tempo ci si guardava negli occhi scorgendo magari nell'altro qualcosa di interessante che faceva scoccare la scintilla, adesso si preferisce guardare lo schermo impersonale di un telefonino che non potrà mai farci trovare ciò che cerchiamo.