en-Gli altri siamo noi!

11/11/2020

Martedì scorso, mentre fuori nevicava abbondantemente ed io ero a letto con la febbre, ho cominciato a pensare a quello che stavo affrontando nella mia vita, alla scelta difficile e dolorosa che avevo preso lasciando il Bel Paese per ritrovarmi in una nazione accogliente sì, ma con un inverno che è a volte tutt'altro che mite. E per riscaldarmi l'anima ho pensato alla mia calda terra, ad un bel piatto di pasta fumante con una generosa spolverata di formaggio. Mi sono sentito fortunato, perché sono ospite di una Nazione che non è in guerra, che accoglie tutti coloro che hanno intenzione di integrarsi, che protegge i suoi cittadini.

Ho pensato a quanti italiani ci siano in giro per il mondo. Siamo dappertutto, partiti con la giusta ambizione di cambiare la nostra vita, di renderla migliore e di dare un futuro a noi stessi ed ai nostri figli. Lasciandoci alle spalle una terra spesso ingrata, arida, incapace di garantirci una serenità ed una protezione che ci spetta di diritto. Frotte di italiani sono arrivati in tutti i continenti: Americhe, Australia, Asia, Africa... Già, l'Africa... poco piú di un secolo fa, l'Italia Giolittiana conquistava la Libia, annettendola all'Italia e creando quindi la "quarta sponda" (intesa come quarta linea costiera). La sciagurata avventura coloniale italiana poi è proseguita con la conquista di Eritrea e Somalia e con le bombe al napalm contro gli Etiopi nel ventennio. Molti italiani partirono quindi alla volta dell'africa, per riempire quelle colonie e farle diventare produttive, ricchi di sogni, di speranze, di fede nel futuro. Furono (e sono tuttora) considerati dei pionieri, persone che partivano per fare grande l'Italia. La retorica Fascista li innalzò ad eroi, irridendo invece coloro che partivano per terre straniere e che andavano ad arricchire le nazioni estere, pusillanimi che non davano il proprio contributo alla gloria della Patria (come se morire in un deserto fosse piú onesto che morire in una miniera di carbone... ma vabbè, la logica non è mai stato il forte di nessun regime).

Oggi le cose sono molto cambiate, l'Italia non ha piú nessuna influenza sui territori delle ex colonie, ma molti italiani ancora partono alla volta dell'Africa, questa volta per cercare di aiutare le persone "a casa loro", come cosí amabilmente certi benpensanti sottolineano. "Aiutiamoli a casa loro" è il motto di chi vorrebbe alzare un muro per fermare "l'Invasione" proveniente dall'Africa, convinti che chiudere le frontiere sia il modo migliore per fermare un processo che è piú complesso di quanto siano in grado di comprendere. Ed io sono d'accordo con loro, bisogna davvero aiutarli a casa loro, ma aiutarli veramente a costruirsi un futuro migliore, a sperare in una possibilità per sé e per i propri figli. Certo aiuterebbe non depredare le loro terre per sostenere la nostra economia basata sul consumismo forsennato delle risorse... ma come i regimi, anche quello consumistico non prevede una logica. Per fortuna come me la pensano decine di centinaia di volontari, che ogni anno partecipano a missioni umanitarie in luoghi sperduti di Nazioni in guerra o dove la povertà e l'ingiustizia sono all'ordine del giorno.

Silvia Romano è una di queste persone eroiche che ogni anno lasciano l'Italia e le comodità della vita di città per andare in un nulla sperduto in Africa insieme ad una onlus che si occupa di progetti di sostegno all'infanzia nel villaggio di Chamaka, in Kenya. Silvia, poco piú che ventenne, sarebbe potuta benissimo restare a casa a fare la giovane, a viversi la sua vita, a cazzeggiare con gli amici, a pomiciare con il fidanzato e invece no, è partita per dare sostegno ed aiuto a persone che per lei erano perfetti sconosciuti. Silvia, nella notte tra il 20 e il 21 novembre 2018 è stata rapita. Io spero che presto lei possa leggere questo blog e sapere che la ammiro, come ammiro tutti coloro che hanno il coraggio di lasciare tutto, di affrontare privazioni che a noi sembrano impensabili, a provare una tale e grande empatia con il prossimo da volergli tendere una mano in segno di pace ed aiuto vero e disinteressato. Io non sarei mai capace di fare tutto questo. E per questo dico a lei e a tutte le Silvia Romano del mondo, grazie per il vostro lavoro. Perché non è facile per nessuno ma soprattutto per una donna, che deve spesso confrontarsi con realtà ancora piú dure perché governate da regimi o religioni profondamente misogine. Non che in Italia le cose siano molto diverse, ma almeno c´è una certa parvenza di decenza.

Decenza che è completamente venuta a mancare a molte persone, tra i politici ma soprattutto nel mondo civile. Sorvolando sulla polemica sull'articolo di Massimo Gramellini in cui si chiedeva nel preambolo se Silvia non «avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d'altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta», che potrebbe essere interpretata come una provocazione (o forse no?), la cosa che mi ha fatto piú specie è stata la reazione del popolo di Internet. La solita orda di analfabeti funzionali, di webeti e di boriosi cafoni senza empatia, ha cominciato ad insultare la cooperante (e di riflesso, tutti coloro che scelgono di aiutare gli altri nei loro Paesi di origine), denigrandola, partendo dal "c'è tanto volontariato da fare qui" al "evidentemente la fame di c***o nero è piú forte della paura". Commenti che dimostrano la pochezza di alcune persone e che mi fanno profondamente vergognare di condividere lo stesso pianeta con loro.

La cosa che mi ha piú stupito però, andando poi a vedere i profili delle persone che sulla rete hanno commentato in modo cosí truce, è stata la presenza di foto di santi, madonne, di post inneggianti alla difesa delle donne (ricorreva proprio domenica scorsa la giornata internazionale contro la violenza sulle donne)... e mi sono chiesto: perché Silvia, che è andata a fare del bene aiutando gli altri, scegliendo di impegnarsi per qualcuno che probabilmente non avrebbe poi piú visto... cosa c´era di diverso fra me e lei? Perché un giovane che va a lavorare in Inghilterra o Francia conta di piú di una ragazza che va in Kenya? Perché il lavoro dei cooperanti all'estero è percepito come un tradimento dagli italiani? Perché mi sembra di capire che il problema sia proprio quello, la "colpa" di Silvia è quella di essersi occupata di stranieri e non dei "tanti bisognosi che ci sono in Italia" quasi che la povertà, l'indigenza dovesse essere alleviata solo tra i propri connazionali. Io ripeto, non sarei mai capace di fare la scelta di Silvia e sinceramente non potrei essere un volontario di una delle varie onlus che operano anche su territorio nazionale, ma davvero vorrei capire quale logica oscura si nasconde nell'attaccare qualcuno che va ad aiutare le persone "a casa loro", accusandole che poteva "aiutare qui". È questa logica del "prima gli italiani" che mi infastidisce. Perché questa mancanza di empatia verso gli altri è un'arma a doppio taglio. Perché come diceva Umberto Tozzi in una canzone di qualche decennio fa, gli altri siamo noi, e dobbiamo comprendere che non c'è qualcuno "piú altro di altri", ma che ci sono solo persone e che è legittimo scegliere di andare ad aiutare quelle lontane, esattamente come restare ad aiutare in Patria. La cooperazione è importante, essere empatici è importante, aiutare gli alti è importante, chiunque essi siano. Altrimenti nel momento in cui gli altri saremo noi, potremmo trovarci senza nessuno disposto ad aiutarci.

FORZA SILVIA, LA PARTE BUONA DELL`ITALIA É CON TE!!!!